Dialogo fra un padre matto per il cinema e una figlia con la passione del teatro

prima tappa di una ricognizione sui luoghi e i modi (e sui protagonisti!) della rappresentazione nel nostro territorio.

con Adelmo ed Elena Bucci

21 novembre 2016, ore 21 - La Bottega dello Sguardo, Bagnacavallo (RA)


 
Un padre e una figlia dialogano.
Qui, in bottega.
Qui, da noi, dove lui gestiva cinema e inventava rassegne e lei lasciava l’università per il teatro.
Il Cinema e il Teatro attraversano la vita di una famiglia, cambiano, almeno un poco, la vita di una comunità.
Nelle note biografiche di Elena, si legge fra i suoi titoli teatrali “Il recupero di spazi abbandonati, attraverso il teatro”.
Quali spazi possiamo recuperare attraverso il teatro, e quali spazi abbiamo perduto, rinunciando al cinema in paese?
Si può ancora dire: “la mia sala”? Una sala allestita per accogliere spettatori, di chi è?
E cosa rappresenta oggi, questa possibile sala, nel nostro quotidiano?
“Ogni paese un cinema”, questo sognano i gestori di sale nell’età d’oro del nostro cinema.
E insieme a questo sogno – prima, accanto, dopo – un altro sogno: quello di una pratica teatrale duttile capace di coniugare il nomadismo della Commedia dell’arte e radicamento nel presente di un territorio.
Per tutti un locale di riferimento, dove ogni giorno si può andare, si può aprire allo spettatore: “dove almeno 10 persone dovevano esserci”, per non soccombere davanti alla legge dei grandi numeri e della audience.
Di questo e di molto altro parleremo, insieme a voi nel nostro incontro. 
 
Adelmo Bucci
Sono nato il 21 marzo del 1932. Mi sono laureato in Chimica Industriale a Bologna nel 1958.
Mi piaceva andare a scuola ma mi avevano bocciato al Liceo perché avevano i loro motivi. Ho fatto due anni in uno a Bologna al Righi dove feci l’esame di maturità e poi la prima laurea. Poi ho cominciato a insegnare, prima a Quero e poi a Ravenna all’Istituto Tecnico Industriale Nullo Baldini. Facevo gli esami di maturità a Ferrara, Bologna, Forlì, Urbino. In quell’occasione andai ad informarmi all’Università e presi anche la laurea in Farmacia, per poi lavorare d’estate in una farmacia a Lido di Savio. Sono stato il primo della famiglia Bucci a laurearsi. Erano tutti contadini. Quando morì il babbo, a causa di un incidente capitato ad uno al quale aveva chiesto un passaggio, dividemmo il capitale e comprai metà del cinema Verdi di Bagnacavallo. Insieme al mio socio Graziani l’ho gestito come cinema fino al 75. Poi presi la gestione del Cinema parrocchiale Ramenghi dove trovai il bravissimo operatore Vincenzo Gianstefani che aveva cominciato il suo lavoro a 15 anni e l’ha continuato fino ai 95. Abitava con sua moglie in un piccolo appartamento proprio dentro il cinema. Mi ha seguito anche quando abbiamo chiuso il cinema anche a causa di un’ingiunzione del Comune che chiedeva una ristrutturazione, aiutandomi a gestire l’Arena di Marina di Ravenna per la quale creai l’associazione Cine Libro Promotion. Mi sono sempre interessato di cinema, andavo a Venezia al Festival, volevo portare il cinema di qualità in Romagna. Ho cominciato per primo a realizzare rassegne cinematografiche e cineforum o per tema o per registi.
Per questo capitò che dovetti cercare Antonioni: l’avevo messo in locandina ma non trovavo la pellicola! Era Blow Up. Gli telefonai e lui mi accolse e mi portò in cantina dove teneva le pellicole e me la diede. Fu un successo. Le persone stavano sedute dappertutto. E lui volle soltanto la pellicola indietro e del Sangiovese.
Sono sempre stato amante del cinema ma le soddisfazioni maggiori le ho avute dall’insegnamento. Ho sempre tentato di creare rapporti di amicizia con gli studenti. E ancora oggi continuano a chiamarmi per vederci ed incontrarci, anche a distanza di decenni.
Ho scritto anche un libro (che Elena mi ha aiutato a battere a macchina): Guida allo studio delle acque naturali e usate. Con i ragazzi andavo a fare dei prelievi lungo il fiume Lamone, da Faenza in giù. E l’ultimo prelievo lo facevamo sempre a Villanova perché ci fermavamo a mangiare da Dumandò. I ragazzi li ho sempre portati in gita a Parigi, perché vedessero altri mondi e modi di vivere.
Io sono il “manvel dla scienza”. Un manovale della scienza. L’operaio che non ha creato niente e non ha scoperto niente.
Solo che provavo soddisfazione quando facevo qualcosa che dava piacere. Come quando uscivano dal cinema contenti, come quando gli scolari si divertivano ad imparare.
Ho lavorato molto trascurando i figli, ma fortunatamente c’era la madre che li seguiva.
Non avevo piacere che Elena avesse lasciato l’università per andare a fare teatro e poi… poi è cambiato. Ma perché poi devo dire queste cose?