una partigiana tra la Romagna e Roma
di e con Elena Bucci
musiche originali dal vivo Marco Zanotti
drammaturgia e cura del suono Raffaele Bassetti - disegno luci Daria Grispino - assistenza al progetto Nicoletta Fabbri
una produzione Le belle bandiere
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi
con la collaborazione di Pro Loco Russi, ANPI, Porta Nova, SPI-CGIL
grazie ad Angelo Fanton per il contributo alla drammaturgia
e a Riccardo Morfino per notizie e materiali
anteprima: 4 novembre 2025 - Teatro Comunale di Russi (progetto “La città delle vite infinite”)
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Parte della mia scrittura per il teatro è
dedicata a coloro che non hanno avuto voce e rischiano di essere
dimenticati nonostante il loro valore. Tosca Casadio, donna
appassionata, generosa e coraggiosa, nata in Romagna e morta a Roma,
vissuta in anni che hanno visto gli orrori del fascismo e della guerra, è
fra loro. È entrata subito, con la sua voce, i silenzi, il suo passo
ardito e la sua bicicletta, in quella ideale galleria di ritratti che
con gratitudine dedico a coloro che hanno saputo rischiare la vita per
il bene di tutti. È lì, fiera, con la sua passione, con il suo carattere
esplosivo, con il suo accento romano romagnolo, accanto a vivide ombre
di donne e uomini che hanno detestato guerre e dittature e hanno lottato
perché esistessero la nostra stupenda Costituzione e un lungo periodo
di pace e democrazia. La sua corsa verso la libertà coinvolge anche la
sua vita personale e la porta a scelte difficili e scomode che hanno
aperto la strada a chi è venuto dopo di lei. Quando la guerra finisce,
registra con sgomento come si sbiadiscano i grandi ideali che hanno
unito persone di generi, idee, culture, religioni diverse. Si torna in
fretta all’ordine e si chiede alle donne di rinunciare alle nuove
opportunità offerte dalla storia: devono sostenere la carriera dei loro
uomini restando un passo indietro. Molte donne valorose sono rimaste in
silenzio, senza vanterie, perché non volevano evocare dolori e traumi,
perché volevano tornare alla normalità, perché semplicemente c’era molto
da fare, perché essere forti e coraggiose quando serve era considerato
normale. Grazie alle nuove generazioni e alle loro domande, sono invece
tornate alla luce storie preziose che ci mostrano come donne senza
potere siano riuscite a gabbare violenza e sopraffazione.
Per gli
strani scherzi della memoria e della storia, anche Tosca rischiava di
essere dimenticata, ma la scia di ammirazione e affetto che ha lasciato
dietro di sé ce la riporta qui. La rivedo potente come quando rischiava
le denunce dei vicini perché nei giorni di festa nazionale apriva le
finestre e faceva andare a tutto volume le canzoni della lotta o come
quando prendeva a schiaffi un sindaco che osava strappare un giornale
dalla vetrina della sua edicola. Vogliono dimenticare, diceva, ma io no.
Me la immagino mentre ci interroga: perché non credete più nel voto?
Come mai rinascono le dittature, si moltiplicano le guerre e i contrasti
tra razze, culture, religioni diverse? Possibile che non si riesca a vivere
in pace rispettando i diritti delle persone e il mondo dove viviamo?
Dove avete smarrito la vostra forza? Perché vi rassegnate?
Tosca Casadio nacque a Russi in una famiglia di orientamento anarchico. Si trasferì a Roma negli anni ’20, dove lavorò come commessa in un negozio di piazza Zanardelli. Durante l’inverno del 1943, Tosca fu una figura chiave della Resistenza romana: per Pajetta, che era stato nascosto a casa sua, per Longo, Ingrao, Labò, Marisa Musu e gli altri compagni, era la «gappista di Borgo». Per gli ebrei e tutti quelli che si nascondevano, era quella che sapeva con un brevissimo anticipo, dove erano programmati i rastrellamenti nei quartieri Prati e Trionfale, e arrivava in bicicletta per dare l’allarme. Dopo la Liberazione, gestì la mensa dei reduci e, grazie a Nenni e Togliatti, ottenne la licenza per un’edicola sul Lungotevere, che gestì per anni con grande determinazione, affrontando anche intimidazioni politiche e controlli. Non rinnovò più la tessera del Partito dopo l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, ma continuò a essere memoria storica della Resistenza, il senso del dovere e la necessità di lottare per la giustizia rimasero sempre forti in lei. Morì nel 1974 nella casa di riposo di Mentana, senza vedere riconosciuti pubblicamente il suo impegno e il suo ruolo nella Resistenza.

