TARTUFO

ovvero L'impostore

da Molière
elaborazione drammaturgica, regia, impianto scenico Elena Bucci e Marco Sgrosso

con Matteo Bertuetti, Fabrizia Boffelli, Fausto Cabra, Francesca Cecala, Monica Ceccardi, Filippo Garlanda, Alessandra Mattei, Gianmarco Pellecchia, Silvia Quarantini, Gabriele Reboni

disegno luci Cesare Agoni - drammaturgia del suono Edoardo Chiaf - assistente alla regia Chiara Pizzati - collaborazione ai costumi e sarto di compagnia Patrick Tomasini - direttore di scena Oscar Walter Vettore - elettricista Roberto Chiodi - macchinista Michele Sabattoli - elementi scenici realizzati dal laboratorio del CTB Teatro Stabile di Brescia - ufficio stampa Bianca Simoni - foto di scena Umberto Favretto

debutto: 23 novembre 2013, Teatro Santa Chiara, Brescia
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“È questa una commedia sulla quale si è fatto molto rumore, che è stata lungamente perseguitata, e a proposito della quale il genere di persone che essa pone in ridicolo ha mostrato chiaramente di essere ben potente...” (J.B.Molière, dalla Prefazione alla commedia)

Dopo il grande successo che nella scorsa stagione ha accompagnato la produzione di Mythos - intenso viaggio nell’Orestea attraverso una drammaturgia elaborata dalle opere dei tre grandi Tragici e realizzata coinvolgendo sedici giovani attori bresciani -, accogliendo la sollecitazione del Ctb Teatro Stabile di Brescia proviamo quest’anno a rilanciare la sfida, approfondendo il lavoro con una parte del gruppo.
Per questa seconda avventura, abbiamo scelto di affrontare un testo chiave della drammaturgia classica, il Tartufo di Molière.
Quasi trecentocinquant’anni sono trascorsi da quando – con immediato e furioso scandalo – fu data per la prima volta a Parigi questa commedia in cui la penna caustica e leggera di Molière prendeva di mira l’ipocrisia degli ambienti religiosi, scatenando la reazione violentissima della Chiesa, al punto che l’Arcivescovo di Parigi riuscì a costringere il Re a fare interdire le rappresentazioni e minacciò di scomunicare tutti quelli che vi avrebbero assistito.
Ma non fu inutile la strenua battaglia condotta dall’autore per dimostrare che “il compito della commedia è di correggere i vizi degli uomini”, esponendoli al ridicolo per emendarli, se un anno dopo Tartufo tornò sui palcoscenici parigini e da allora non ha mai smesso di affascinare attori, registi e pubblico del teatro internazionale.
E infatti, a dispetto del lungo tempo trascorso, la commedia di Molière – ritenuta da molti una delle sue di ‘assoluta bellezza’ -, suona ancora di un’attualità sferzante per il tono lieve ma impietoso con cui affronta non soltanto il tema dell’ipocrisia religiosa, ma anche quelli dell’onestà contrapposta all’inganno, dell’impietosità dell’arrivismo, dei contrasti in seno all’ambiente familiare, e – come quasi sempre nell’opera del commediografo – delle “false apparenze”, tema che oggi ci riguarda con un’intensità purtroppo non minore di allora.
Teatralmente, Tartufo offre incredibili spunti di riflessione e di ispirazione, a cominciare dal suo gustoso sapore di ‘teatro nel teatro’, se è vero che per condurre avanti la vicenda e allo scopo di ottenere successo nei loro piani, non soltanto l’antipatico personaggio del titolo ma anche quasi tutti gli altri devono ingegnarsi d’apparire ‘diversi’ da quello che sono e ricorrere ad astuti travestimenti, e non nel fisico o nell’abito quanto proprio nell’identità interiore, in uno sfaccettato gioco di specchi condotto mirabilmente dall’autore con quel ritmo secco e vertiginoso e quella parola tagliente e asciutta, caratteri tipici delle sue creazioni più felici.
In questo senso, il pater familias Orgone – nella sua cieca e a tratti irritante onestà credulona – diventa marionetta mossa da contrapposti burattinai, in una gara di piccole e grandi astuzie che rivelano con tono spumeggiante, ma non per questo meno tremendo, come l’autorità ‘costituita’ sia pericolosamente governabile da pressioni sotterranee o laterali.
La sua rispettabile casa borghese, emblema di rispettabilità e solidità sociale, comincia a scricchiolare per le spinte contrapposte e la commedia si colora via via di toni aspri e vagamente drammatici, che rivelano fascinose ombre ambigue nell’apparente solarità dei caratteri, prima del colpo di teatro finale che risanerà gioiosamente l’equilibrio etico e civile.
E di nuovo, allora, possiamo godere della forza sottile e tagliente della grande satira, che forse non può raddrizzare le storture del mondo ma ci consente tuttavia di osservarle con vivida chiarezza e con la forza della speranza…