ideazione e realizzazione Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Daniela Alfonso, Maurizio Cardillo,
Beatrice Cevolani, Andrea de Luca, Nicoletta Fabbri, Filippo Pagotto,
Gabriele Paolocà, Alessandro Sanmartin
e con gli attori del laboratorio Samuela Becchereti, Sabrina Ciani,
Daniela Denti, Enrica Ghinassi, Giovanna Randi, Franco Cecè Zoli
suono e registrazioni affaele Bassetti - collaborazione tecnica Alessia
Massai - collaborazione alla drammaturgia e all'azione scenica Barbara
Roganti - foto e installazioni Patrizia Piccino oggetti sonori Claudio
Ballestracci
con la partecipazione del gruppo musicale Faxtet
cura Nicoletta Fabbri, Alessandro Sanmartin con l'aiuto di Andrea de Luca e Filippo Pagotto, Paola Ravaglia
produzione Le belle bandiere con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Comune di Russi, Pro Loco Russi e con la collaborazione del Centro Teatrale Umbro
28 luglio 2013, Palazzo San Giacomo, Russi (RA)___
Questo richiamo ad un passato misterioso dal quale sentiamo di provenire, ci permette di trovare un immaginario comune sul quale innestare il linguaggio contemporaneo e le inedite domande del presente.
Guardando indietro, nella storia e nella memoria, non cerchiamo chi ci trasformi in una statua di sale prigioniera della nostalgia, ma la forza vitale del mito, racconto che viene da molto lontano, ogni volta trasformato dalle infinite variazioni di chi cantando, parlando, scrivendo, l’ha tramandato, ripensato, tradotto e tradito.
Niente di nostalgico o filologico, ma molte domande su quanto si sia perduto e quanto conquistato, sul diritto-dovere di essere responsabili dell’estetica e dell’etica del tempo nel quale si vive e intorno a una ricerca sul mito e sul rito che raccolga gli esiti più diversi, bizzarri, liberi e autentici, mentre vediamo dissolversi un patrimonio di cultura, diritti e riferimenti che pensavamo di avere una volta per tutte acquisiti. Per dire questo andiamo in cerca di una scrittura che partecipi di molti linguaggi e che, pur comprensibile a tutti, possa ospitare anche sottigliezze e libertà, azzardi e follie.
Andiamo in cerca di Omero, di Prometeo, di Orfeo ed Euridice, di Circe e Calipso, ma anche di un bisnonno, di una zia che ci ha raccontato le favole, di noi bambini, di noi sgomenti e coraggiosi che, rimettendo insieme i pezzi e i reperti di una civiltà perduta, cerchiamo la lingua del presente.
Andiamo in cerca dei canti che si sono impigliati nella memoria, dei ricordi di vite sconosciute, dei frammenti di antichi poeti ciechi alla vista, ma veggenti nell’animo, svuotiamo la testa dalla folla di immagini e di parole dalle quali ci sentiamo assediati e affondiamo nel mistero del suono.
Ascoltare una voce nel buio, nel silenzio, fa affiorare immagini misteriose, desta la curiosità e l’ingegno, sveglia le emozioni. Si intuiscono sofferenze, malattie, speranze. Il suono della voce è esso stesso racconto, al quale si aggiungono poi le scelte delle parole, delle pause, dei toni, degli scoppi e dei bisbigli.
In un’epoca dominata dalle immagini, affidarsi al suono spesso riposa e rigenera, lascia liberi di immaginare ciò che si vuole. Prepariamo un rito collettivo del ricordo, salto mortale all’indietro nel tempo che ci lucidi gli occhi per poter vedere dove siamo, per poter fare della nostra epoca un nuovo racconto. I miti dell’antichità e i miti delle nostre vite e di coloro che abbiamo conosciuto si fondono e si confondono in un’unica suggestione.