di Nevio Spadoni
con Chiara Muti ed Elena Bucci
regia e adattamento del testo Elena Bucci musiche di Berlioz, Liszt, Schumann rielaborate da Luigi Ceccarelli - regia del suono Luigi Ceccarelli - violino Diego Conti - luci Luigi Martinucci - scene e costumi Ursula Patzak
26-27-28 giugno 2005 - Chiostri della Bibiloteca Classense, Ravenna
Ricordando Diego Fabbri nel 25° anniversario della scomparsa
Ravenna Festival in collaborazione con Le belle bandiere
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.... confessava il suo costante, sleale, devoto e infedele amore della morte... ma era un niente quell’innamorato. E dunque per quel corteggiamento dové sempre travestirsi: o da eroe, o da buffo; fu un capolavoro del buffo, che gli toccasse una morte da eroe.’ (Giorgio Manganelli - dalla presentazione alle ‘Lettere italiane’, 1985, Guida Editori)
Studiando l’intenso
legame esistito tra George Byron e Teresa Guiccioli, ho subito avuto la
sensazione di muovermi su un terreno scivoloso e ingannatore.
Una
‘storia d’amore’ è ardua da narrare, e per chi l’osserva – e ondeggia
tra la noia dello spettacolo della felicità d’amore e l’immedesimazione
nell’inevitabile dolore che l’accompagna – e per chi la vive, succube
delle continue trasformazioni del ‘reale’ determinate dall’altro.
In
più, tale vicenda, ha come scenario e cuore un tempo storico mitizzato e
contraddittorio, quel secolo diciannovesimo che, travestendosi di volta
in volta di innovazione e oscurantismo, attonito si illumina e si
rabbuia tempestoso, testimone di cambiamenti improvvisi.
Di fronte
alla difficoltà di mettere a fuoco un passato tanto più sfuggente quanto
più vicino e denso di documenti, ho lasciato un arbitrario spazio a
quanto di quel tempo e di quell’amore rimane a noi, vero o falso che
sia, filtrato dagli scherzi della memoria e della storia.
In accordo
con Nevio Spadoni e Luigi Ceccarelli si è scelto quindi di indagare i
documenti, certo, ma anche il mistero della loro imprevedibile
trasformazione, sino a confrontarli con dialoghi di strada, quasi
interviste, passati poi nella parte musicale.
Allo stesso modo,
trovandomi di fronte ai due protagonisti, ai loro scritti, alle loro
immagini, ho scelto di definirli attraverso le loro contraddizioni.
Come
fu che un lord famoso decise di trasferirsi a Ravenna, città
affascinante ma non certo brillante per occasioni mondane, al seguito di
una ragazza di diciannove anni, certo graziosa, intelligente e
coraggiosa, ma anche determinata a trasformare il poeta nel suo alter
ego e cavalier servente, centro e senso della sua esistenza?
Mi pare
che Byron, la cui vita fino a questo momento sembra una corsa affannata
in un labirinto di specchi nei quali lui, in difficile e inebriante
equilibrio, si riflette sempre diverso, abbia trovato qui l’estremo
fascino dell’esotico in una sorta d’incantesimo
casalingo...nell’illusione di pace e riconoscibilità offerti dalla vita
appartata e ‘di famiglia’.
E questa pace, quest’illusione
d’esistenza, prende sapore dalla sensualità e dal piacere di vivere di
Teresa, quasi sua gemella nella ricerca di un nuovo ideale di libertà e
di diritto alla felicità.
Quanto si scrivono, loro due, anche quando
sono vicini. E se le lettere sono assimilabili a monologhi, siamo
autorizzati ad immaginare il paradosso di una fantastica unione formata
da due ininterrotti soliloqui, nei quali ognuno dei due gioca con
l’immagine di sè e dell’altro e la magnifica.
Perché Byron poi parte
per la Grecia? Per inseguire un ideale? Per noia? Per restare fedele al
ritmo della sua corsa, nonostante le promesse di ritornare da Teresa?
Per sfuggire l’angoscia e il vuoto? Per non vedere finire nel nulla
l’amore assoluto?
Di certo sappiamo che, assistito da Pietro, il
fratello di lei, morendo disse:’Io lascio qualcosa di caro al mondo, per
il resto, sono contento di morire.’
Teresa si disperò, ma non seguì
un prevedibile copione della passione, non si suicidò. Continuò a
vivere a lungo, si risposò, lo ricordò per sempre, facendosi presentare
come la sua antica amante.
Lui aveva creato poesia, lei la sua vita,
sottraendola al grigiore e all’oblìo. Entrambi lottarono per godere di
un destino eccezionale, degno di essere ricordato.
Tutto ritorna in
un piccolo ritratto che lei portò sempre con sé, con le lettere, con
gli oggetti da lui toccati e a lui appartenuti: sono vicini, lui in
piedi, lei seduta, dietro si vede una finestra. Lui è sfuggente, come in
ogni suo ritratto. Il volto di lei è cancellato.
Così in scena,
inseguo ciò che la storia cancellò. Tutto è evocato da Teresa che,
raccolta in un luogo segreto, continua a cambiare d’ordine i feticci,
avvolti in carta velina, della sua grande storia, come nel tempo
cambiano d’ordine i ricordi.
Accanto a lei, un’altra donna, l’ascolta.
L’immagine
di Byron, sempre presente e sempre distante, se non per brevissimi
dialoghi, ha la consistenza di un sogno o di un’ombra che si sottomette
alla creazione di Teresa. Lei non muta il corso delle cose, ma lascia
intravedere un’altra verità di quell’unione, quella che non passa né
dalle parole e né dai documenti, quella che la storia non registra e non
ricorda: la stessa che ognuno di noi è chiamato ad immaginare.
Anche per questo terzo spettacolo insieme, abbiamo sperimentato un lavoro di scrittura, composizione della musica ed elaborazione che, pur nascendo individuale, si è intersecato, modificato e integrato nel corso del tempo. Il dialogo tra diverse visioni drammaturgiche arricchitesi reciprocamente, ha creato la ‘scrittura scenica’ dello spettacolo.