elaborazione drammaturgica, regia, impianto scenico e costumi Elena Bucci e Marco Sgrosso
con Matteo Bertuetti, Fabrizia Boffelli, Fausto Cabra, Francesca Cecala, Monica Ceccardi, Loredana De Luca, Lorenzo De Luca, Filippo Garlanda, Alessandra Mattei, Ermanno Nardi, Marta Ossoli, Antonio Palazzo, Gianmarco Pellecchia, Silvia Quarantini, Gabriele Reboni, Miriam Scalmana, Elena Strada
disegno luci Cesare Agoni - drammaturgia del suono Edoardo Chiaf - assistenti alla regia Andrea Anselmini, Chiara Pizzatti - collaborazione ai costumi Alessandra Mattei - collaborazione alla scenografia Andrea Anselmini - direttore di scena Oscar Walter Vettore - elettricista Sergio Martinelli - macchinista Michele Sabattoli - elementi scenici realizzati dal laboratorio del CTB Teatro Stabile di Brescia - ufficio stampa CTB Teatro Stabile di Brescia Bianca Simoni - foto di scena Umberto Favretto
CTB Teatro Stabile di Brescia
debutto: 4 dicembre 2012, Teatro Sociale, Brescia
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In questi tempi di crisi che sembrano soffrire di una guerra non
dichiarata, il teatro reagisce, si fa specchio del mondo, riflesso
del futuro e sfera magica del passato.
Ci aiuta a ritrovare il senso di appartenenza ad un grande disegno
della storia e a risentire il sapore dei riti collettivi che abbiamo
perduto, dalle danze alle veglie funebri, dalla celebrazione dei
passaggi delle stagioni al canto in coro e a tutta quella ragnatela
di gesti e vicinanze che ha aiutato i nostri avi a passare attraverso
i misteri della morte e della vita.
L’arte scientificamente inesatta dell’etimologia intravede
nella parola ‘tragedia’ una risonanza dell’idea di quel canto
che si sviluppava nelle grandi feste dionisiache.
Tornare alle parole dei tragici greci significa anche questo:
immaginare di abitare il luogo teatro come andando ad una festa dagli
esiti imprevedibili, ricordare come fosse lunga e oculata la scelta
dei luoghi all’aperto che abbracciavano l’azione che procedeva
nel cambiare della luce, provare ad evocare il mistero delle quantità
sillabiche delle parole che trasformavano la lingua in canto e
intuire come il canto potesse infondere nel corpo il ritmo della
danza.
Cercare di immaginare come l’alternarsi dei tre attori - in
numero magico - e del coro - che amplificava e rifletteva le diverse
parti del pensiero e del sentire - fosse immerso nel tempo della
festa aiuta ad immaginare un profondo ed autentico processo di
condivisione del dolore e della paura, fino alla trasformazione in
coscienza limpida.
L’allestimento è stato realizzato nel Teatro Sociale, un luogo
che offre un esempio di come la trasmissione di arti antiche
coltivate con cura possa restare impigliata alle cose, dando loro
spessore e incanto. Il nostro lavoro si è intrecciato con armonia
con quello della luce, del macchinismo, del suono, creando un gruppo
di lavoro prezioso.
Da questo trampolino, insieme ad un gruppo numeroso ed eterogeneo
di giovani attori pieni di voglia di sperimentare, rischiare e
ascoltare, ci siamo lanciati nel tuffo all’indietro che ci ha
avvicinato ai nostri progenitori di Grecia.
La tragedia greca che immaginiamo, nella sua nudità, ci riporta
alla magia dell’arte dell’attore, che necessita di pochi
artifici, precisi, semplici e di una dedizione interminabile che
ripaga con un grande senso di pienezza e libertà. Andiamo in cerca
delle parole e delle immagini che risuonano lungo i secoli e che
trasformano lo spazio intorno, le relazioni, i corpi stessi, come se
fossero state lanciate attraverso il tempo e ancora vibrassero per
noi.
Ecco che il teatro, con il suo anacronistico esistere dal vivo,
con la sua essenza qui e ora che non può essere conservata, con la
sua tessitura cordiale dove spesso gli errori sono più interessanti
della perfezione, pur essendo quasi messo in un angolo - arte che non
si mangia e che si vende poco, arte che ancora richiede il lusso del
tempo - ecco che il teatro resiste, insiste, raccoglie l’antico per
trasformarlo in nuovo.
Eschilo, Sofocle ed Euripide ci hanno lasciato parole tra le più
belle che siano mai state scritte.
Parole che narrano sentimenti e visioni di una potenza così
assoluta e limpida da durare intatta attraverso i secoli. Parole di
pietra e di poesia, lontane dalla povertà espressiva di tanto
corrente linguaggio quotidiano.
Parole difficili e pesanti, anche, di cui è necessario preservare
la verità e la pulizia, sfuggendo al facile rischio dell'enfasi. La
ragione di questa preziosità è semplice: sono parole che raccontano
l’Uomo.
Politica, guerra, etica, religione, passioni, riti e conflitti tra
sposi e spose, tra madri e figlie, tra padri e figli, tra uomini e
dei si fondono in una mirabile sintesi.
La complessità variegata delle diverse tragedie analizzate ha
consentito ai 17 giovani attori e attrici che ci hanno seguito in
questo appassionante percorso non solo di confrontarsi con un grande
personaggio e con grandi temi, ma anche di partecipare alla creazione
di un linguaggio comune, che è stato di fondamentale importanza sia
per lo studio dell’arte teatrale che per la composizIone della
drammaturgia.
Il coro, come si sa, è uno degli elementi più controversi e
affascinanti di queste opere. Incarnando il pensiero collettivo e
sociale, attraverso di lui passano riflessioni, brani poetici,
racconti, pensieri filosofici ed esistenziali, visioni etiche e
politiche. Abbiamo creato dunque un linguaggio fatto di canto, voci,
parole, elementi musicali e quasi danzati, non escludendo l’uso del
dialetto e del gramelot.
Questo lavoro ci ha permesso di affrontare difficoltà e
profondità armati di strumenti teatrali potenti ed immediati, e oggi
ci sembra importante che menti giovani possano riflettere sul grande
valore civile e umano dei temi affrontati dalle tragedie, su uno
spessore del sentimento privo di pallori e di mezze tinte, su un
concetto di etica mai assodata e da costruire insieme.
L'analisi delle diverse tragedie e dei vari mitemi ha portato ad
una drammaturgia incrociata, integrata dai materiali delle
improvvisazioni, con l'obiettivo di raggiungere uno sviluppo
sintetico ma non riduttivo della vicenda.
Ecco uno spazio svuotato, da costruire e scomporre di volta in
volta attraverso pochi essenziali elementi – sedie, pareti reali o
immaginarie, corde, una vasca da bagno - tra cui vediamo stagliarsi i
corpi tragici come ombre che si staccano dal coro per raccontarci la
loro antica avventura nel mondo e il loro percorso attraverso i
dolore per conquistare la consapevolezza.
Certo non possiamo più comprendere a fondo cosa significasse
condividere i miti con il pubblico in maniera quasi totale, non ci
appartiene più quell’unità di pensiero e religione. La fiamma che
conserviamo è piccola e non abbiamo memoria del fuoco. Possiamo però
affidarci alla capacità di immaginare e creare, popolo di esuli che
trova casa nel teatro, annullando forse la distanza tra palco e
platea, orfani tutti di un vivere sociale ampio e luminoso.