di e con Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
e con Marika Pugliatti
collaborazione drammaturgica Cristina Valenti - disegno luci Maurizio Viani - luci, suono e direzione tecnica Loredana Oddone
Diablogues e Le belle bandiere con il contributo di Regione Emilia-Romagna
grazie a Comune di Russi e Cinema Ramenghi di Bagnacavallo
debutto: 31 gennaio 1998, Teatro San Martino, Bologna
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Abbiamo trovato, nelle "Novelle", il teatro di carta di
Pirandello, già popolato di visioni in procinto di materializzarsi sulla
scena. Un mondo in cui i personaggi sono tormentati tra fedeltà
all'autore e desiderio di vita autonoma, e l'autore lotta a sua volta
fra il desiderio di dominare la realtà messa sulla pagina e quello di
poter osservare l'imprevedibile agire dei fantasmi cui ha dato vita. Un
dissidio ancora tutto contenuto nella scrittura narrativa, ma che
racchiude già e prefigura la scelta di Pirandello di farsi drammaturgo e
quindi metteur en scène dei suoi testi.
Il lavoro per lo spettacolo ha preso corpo procedendo dal mondo di carta
delle novelle al teatro mentale di Pirandello, fino alla
materializzazione dei personaggi sulla scena. Tre tappe o tre luoghi
della visione, che abbiamo cercato di mantenere costantemente presenti,
in quanto corrispondenti a un unico modo di sentire di Pirandello, che
si colloca prima del teatro ma lo contiene in forma di intuizione. I
fantasmi di carta di Pirandello popolano la scena non abbandonando le
forme narrative, mescolando il dialogo al racconto, parlando
indifferentemente in prima e in terza persona e realizzando uno
slittamento continuo fra le identità dei personaggi e le loro molteplici
proiezioni. Così una storia contiene un'altra storia, un'immagine
genera un'altra immagine, e le diverse novelle si saldano in un unico
racconto, complici gli attori, che innestano un meccanismo di contagio
reciproco fra personaggi ed interpreti, dando vita a figure complesse e
stratificate, che appartengono contemporaneamente a più vicende. Fra le
molte cose lette, di e su Pirandello, tre riferimenti si sono via via
rivelati centrali, suggerendo e svelando, in modi diversi, l'impianto
dello spettacolo. In primo luogo la novella "Mondo di carta", poi il
saggio di Claudio Meldolesi "Mettere in scena Pirandello: il valore
della trasmutabilità", e infine la lettera di pirandello "Ai
famigliari", del 4 dicembre 1887. Tutti e tre gli scritti mettono al
centro l'esperienza della visione. Nella novella, il vecchio Aureliano
Balicci, divenuto cieco, chiede alla signorina Tilde Pagliocchini di
leggere per lui, dall'immensa biblioteca che era stata l'intero suo
mondo. Ma la voce della ragazza gli rovina tutto: lui era abituato a
leggere con gli occhi, così le chiede di leggere piano, sempre più
piano, anzi, di leggere in silenzio. Ed ecco che, nel silenzio, rivede.
Le immagini dei libri, sollecitate dalla lettura mute, gli popolano di
nuovo l'immaginazione, animando il suo teatro mentale. Il saggio di
Meldolesi indaga il passaggio dal Pirandello drammaturgo al Pirandello
metteur en scène e lo illusta come dinamica della visione: dice che il
drammaturgo si fa metteur en scène per essere pienamente autore, volendo
"vedere e sentire dal vivo la realtà intuita e messa sulla pagina". E
infine la lettera. Pirandello è a Roma, sta seguendo gli studi di
giurisprudenza, non ha ancora scritto nulla per il teatro, ma va a
teatro tutte le sere e, immerso nel buio della platea, al Teatro Valle,
osserva la scena e lascia vagare la fantasia, immaginando un teatro che
non c'è e che diventerà quello dei suoi personaggi. "Spesso mi accade di
non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma
di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente". Come accadeva
ad Aurelio Balicci, al quale pareva che "il buio gli s'allargasse
intorno" mentre le immagini dei libri diventavano visione. E come
sarebbe accaduto a Pirandello stesso che, alle prove, "si comportava
come se avesse di fronte dei personaggi in via di materializzazione, non
degli attori", ed assumeva perciò "un atteggiamento visionario, quasi
fosse posseduto dai suoi fantasmi". Nello spettacolo, la novella "Mondo
di carta" è diventata il filo conduttore, la trama centrale alla quale
si legano le altre storie e si affacciano i diversi personaggi; il
saggio sul valore della trasmutabilità ha fornito l'unica battuta non
'pirandelliana': discretamente camuffata, ha costituito l'unico arbitrio
che ci siamo concessi. E la pagina di Pirandello arriva alla fine, come
se fosse lo scioglimento della suspense, o la risoluzione della trama.
Lo scontro finale è fra le due anime di Pirandello, o fra due momenti
della sua attività creativa. Da una parte il Pirandello novelliere (e
quindi Aureliano Balicci, in quanto custode delle storie), che reclama
la supremazia del teatro mentale, delle visioni contenute nel mondo di
carta; dall'altra parte il Pirandello drammaturo e metteur en scène (e
quindi Tilde Pagliocchini, con la sua proiezione Madama Pace, in quanto
fantasma motore del dramma per eccellenza) che reclama il teatro come
atto di vita. Ma dal mondo di carta si sono ormai liberati e
materializzati I fantasmi di Balicci, ossia i personaggi in cerca
d'autore di Madama Pace. Ed è stato proprio Balicci a mettere in moto
tutto questo per uscire dal buio della cecità (... e quindi Pirandello,
alla ricerca, nel teatro, di un 'atto di vita' finalmente compiuto). E
l'ultimo passaggio, nella dinamica della visione, è affidato agli
spettatori, chiamati in causa all'inizio e alla fine dello spettacolo.
Senza gli spettatori, i personaggi non avrebbero reclamato la vita, e
agli spettatori è affidato l'ultimo gesto creativo: sono loro che
accolgono il teatro nella propria visione e lo trattengono,
aggiungendovi altri sensi e dando origine a nuove trasmutazioni.
(Cristina Valenti)
Lo spettacolo prende spunto da sei novelle di Luigi Pirandello: "Mondo
di carta", "Guardando una stampa", "La tragedia di un personaggio", "La
rallegrata", "La casa del Granella", "Sgombero".
Il lavoro nasce come
ricerca di un linguaggio teatrale non affidato a dialoghi o monologhi,
ma costruito con parole nate per raccontare.
I personaggi delle
novelle sono in attesa di rivelare la propria vita attraverso i lettori:
il gesto muto della lettura libera visioni che reclamano vita scenica.
Il 'mondo di carta', ossia il teatro mentale di Pirandello narratore, si
popola di fantasmi che acquistano via via consistenza di personaggi.
Gli
attori danno corpo alle parole e attraversano le storie evocate
mescolando e stratificando identità e connotati. Diventano i cavalli de
"La rallegrata", gli spiriti dispettosi che abitano "La casa del
Granella", i mendicanti ciechi che si riconoscono "Guardando una
stampa", i testimoni della veglia funebre di "Sgombero" e i libri, tutti
i libri che circondano Valeriano Balicci nel suo "Mondo di carta".
Sullo
sfondo appare Madama Pace, ossia il teatro di Pirandello, dove i
fantasmi, liberati dalle storie, potranno creare liberamente la propria
vita di personaggi, con la complicità degli attori/evocatori.
Il teatro delle azioni incerte
La cronologia delle opere di Pirandello è perentoria. Il teatro viene dopo.
Dopo le raccolte di poesia. Dopo gli studi universitari. Dopo l'attività
saggistica. Dopo le novelle. Dopo i grandi romanzi. "Mondo di carta",
lo spettacolo realizzato da Vetrano-Randisi e Bucci-Sgrosso, con la
collaborazione drammaturgica di Cristina Valenti, si sottrae alla logica
della cronologia e ai modi della narrazione, facendo dell'immaginazione
pirandelliana il proprio centro d'espressione. Gli attori-autori non
hanno voluto trasporre teatralmente le sue novelle. Piuttosto, il loro
intento è stato conferire evidenza scenica alla teatralità di quella
'zona disinteressata della fantasia' che aveva concepito queste
narrazioni al di fuori del teatro. "Mondo di carta" traduce le qualità
spaziali dell'immaginario pirandelliano spostando le situazioni da una
zona all'altra del luogo teatrale. All'inizio, i ciechi della novella
"Guardando una stampa" accolgono gli spettatori. Siamo all'esterno della
sala. Significativamente, i ciechi parlano di città, luoghi di
villeggiatura, strade, viali, covoni, alberi, colori. Incomincia a
delinearsi un mondo. Ma è un mondo visto da ciechi. Un nero nella mente,
che introduce alla rivisitazione dell'immaginario pirandelliano. Poi i
personaggi fanno accomodare il pubblico dentro la sala. Sul lato
sinistro entrano i personaggi soli. La solitudine li tiene immersi nel
liquido amniotico della fantasia creatrice. Sono qui, presenti, ma non
ancora pienamente sgusciati sulla scena. Sul lato destro si svolgono le
scene d'insieme. I personaggi sono seduti su una fila di vecchie
poltrone da sala teatrale o cinematografica. Le scene sono comiche,
irresistibili. Eppure, gli attori mantengono una posizione fissa.
Recitano guardando di fronte a sé. È come se fossero sempre i ciechi che
hanno aperto lo spettacolo. Oppure come se stessero imitando un'azione
che si svolge, frontale e un po' sopraelevata, nello spazio circoscritto
d'un grande schermo. La reattività reciproca esalta in loro una
teatralità a tutto tondo. Anche il teatro di Pirandello avrebbe potuto
accoglierli. E proprio per questo, credo, gli attori-autori hanno voluto
limitare la loro mobilità, evidenziandone l'appartenenza a quel 'mondo
di carta' la cui teatralità latente, fatta di azioni 'non ancora
fermate' e spazi incerti, è la delicata essenza di questo spettacolo – e
dell'immaginario di Luigi Pirandello. (Gerardo Guccini)