elaborato e diretto da Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
con Elena Bucci (Giacinta e Vittoria), Stefano Randisi (Fulgenzio e servi), Marco Sgrosso (Leonardo e Guglielmo), Enzo Vetrano (Filippo e Ferdinando)
luci Maurizio Viani - costumi Andrea Stanisci - parrucchiera Denia Donati - maschere Stefano Perocco di Medusa e Lando Francini - suono Alessia Massai - direttore di scena Giuliano Toson - assistente alla regia Gaetano Colella
una coproduzione Le belle bandiere - Diablogues e Teatro degli
Incamminati in collaborazione con il Teatro Comunale Ebe Stignani di
Imola
si ringrazia Ivano Marescotti per aver prestato gentilmente la sua voce a Carlo Goldoni
debutto: 16 marzo 2004, Teatro dell'Osservanza, Imola (BO)
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Alla fine della rilettura delle “Smanie per la villeggiatura” -
che non lascia un attimo di respiro per il ritmo incalzante dei
duetti, dei rovesciamenti, delle battute -, si arriva a percepire un
senso di vuoto e di sgomento.
Quell'affannarsi intorno a futili problemi, quell'enorme dispendio
di tempo, sentimenti e denaro in funzione dell'apparire,
quell'intrecciarsi di rapporti incendiati dalla rivalità e
dall'ipocrisia, dove l'amore e la passione prendono la forma quieta
del dovere e della rispettabilità, e l'odio si traveste di
smancerie, assomiglia tanto ai modelli di vita che la nostra cultura
del quotidiano ci offre attraverso la finzione televisiva, che
talmente permea le nostre vite da diventare reale, e trasmigrare nel
pensiero e nei comportamenti.
Ancora una volta, la denuncia antica, attraverso una grande arte,
parla attraverso il tempo, ci dimostra come il progresso non sia
continuo ma possa subire imprevedibili rovesciamenti all'indietro, se
solo si allenta l'attenzione e la tensione a migliorare ciò che ci è
dato.
Divertendoci, intrigandoci, Goldoni dolorosamente ci ammonisce, ma
senza pedanteria. La normalità dei suoi personaggi, l'apparente
banalità delle loro motivazioni ci dice che siamo tutti vicini al
rischio di essere pallidi e ridicoli fantasmi di uomini e donne,
simulacri agitati da passioni piccole e meschine, prigionieri di
desideri che ci portano lontani dalle grandi mete che potremmo
raggiungere.
Ritroviamo il filo dell'ispirazione che ci ha guidato nei
precedenti lavori, la follia travestita da normalità, il contrasto
tra essere e apparire, le pulsioni dell'individuo in guerra con
l'ordine cristallizzato del mondo sociale.
Tutto questo ci affascina e ci porta a voler indagare questo testo
che ha tutte le qualità per diventare un teatro ‘specchio del suo
tempo’. Lo faremo nel nostro modo e con il nostro stile, rinunciando
alle scenografie filologiche ed elaborate, ‘traducendo’
quell'italiano lontano – che allora era la lingua della
quotidianità – in un parlare a noi vicino, ma mantenendo alcuni
segni del mondo di Goldoni, così da suggerire una lontananza da
favola che ci aiuti, come spesso accade, a leggerne i sensi più
profondi.
Non pensiamo quindi ad una attualizzazione, né ad una
messinscena realistica, ma ad una sorta di costruzione di un quadro
antico, ad un album di fotografie ingiallite che possano
all'improvviso animarsi e parlare con il linguaggio che sentiamo oggi
per strada, nei bar, in televisione.
Se gli oggetti della passione sono qui un abito alla moda, un
pranzo, una cioccolata, un bel calesse, vorremmo che, pur usando
queste stesse parole, diventassero simbolo dell'auto, dell'ultimo
esemplare di un computer, dell'oggetto di design da esporre come un
trofeo.
Niente di nuovo. Niente che in teoria già non sappiamo. Ma
vorremmo riuscire a ridere amaramente del nostro mondo occidentale e
dei suoi modelli rassicuranti che scricchiolano oggi più che mai nel
contrasto con altre culture poverissime che pretendono, anche con
violenza, il loro diritto ad esistere.
Allora non si era forse del tutto consapevoli che il nostro
benessere causa necessariamente un malessere altrui, ma già era
tangibile e sentito il senso di vuoto creato dalla corsa ad avere
sempre di più, sostenuti da idee di decoro e dignità così gelide e
funzionali da uccidere il sentimento.
Ora abbiamo più strumenti per sapere e per comprendere, ma la
paura di cercare oltre il quotidiano è altrettanto forte, così come
la tentazione di stordirsi e di non guardare.
Con questo lavoro ci piacerebbe ‘guardare’ in profondità con gli
strumenti del comico, che ci permettono di accettare e comprendere le
cose più amare senza perdere la voglia di cambiarle.