LA MORTE E LA FANCIULLA

di Ariel Dorfman

progetto Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci
con la collaborazione di Marco Sgrosso

con Elena Bucci, Marco Sgrosso e Gaetano Colella

traduzione Alessandra Serra - luci Loredana Oddone - drammaturgia del suono e registrazioni Raffaele Bassetti - collaborazione al progetto Nicoletta Fabbri - costumi Nomadea e Marta Benini - foto Gianni Zampaglione, Patrizia Piccino

una produzione Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con Le belle bandiere
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«L’azione si svolge ai giorni nostri, probabilmente in Ci­le, ma potrebbe trattarsi di un qualsiasi altro Paese che ha appena ottenuto la democrazia dopo un lungo perio­do di dittatura.» Così scrive Dorfman e subito sentiamo quanto queste parole possano riferirsi a molti paesi e a molte città. Il nostro sguardo, da un piccolo punto geografico, si allarga al mondo intero e alla sua storia.
Siamo in una casa sospesa tra mare e cielo, isolata. In una notte di pioggia. Paulina Salas aspetta che il marito, Gerardo Escobar, ritorni dopo avere avuto un importante incontro politico che gli varrà un incarico di prestigio e di grande responsabilità nel nuovo governo democratico: è stato invitato a presiedere la commissione di indagine sui crimini della dittatura.
Gerardo porta con sé un uomo brillante e intelligente, Roberto Miranda, che lo ha soccorso per un guasto alla macchina. Nel clima disteso generato dal nuovo respiro di speranza che permea tutto il paese, è naturale invitarlo in casa prima che riprenda il suo viaggio, nonostante l’ora e il luogo isolato. Un suono, una vibrazione della voce, trasformano un incontro casuale in un viaggio nel tempo che rivela identità impreviste e riflessi segreti nelle relazioni tra loro, aprendo squarci inattesi sulle ragioni che trasformano, di volta in volta, in vittime o carnefici, traditi o traditori.
Le domande intorno a giustizia, verità e vendetta risuonano come echi di antiche tragedie.
Studiamo le dittature del secolo scorso, le tragiche ripetizioni della storia, il fascino del potere e della prepotenza, la memoria e l’oblio, utilizzando la forza che ha il teatro quando incrina la superficie della realtà per fare emergere incubi, sogni e speranze, quando apre un varco tra passato e presente, tra vivi e morti. Attraverso la molteplicità dei suoi codici scardina le abitudini percettive per offrire nuovi punti di vista. Passiamo dalla sceneggiatura cinematografica al testo teatrale, immettendo altre modalità di racconto e sospendendo il ritmo serrato con azioni che modificano le relazioni sia tra noi sul palco che tra noi e il pubblico.
La casa sul mare diventa uno stadio affollato di prigionieri, un set cinematografico, un tribunale, un’antica città costruita sulla necropoli. Le voci si moltiplicano in un’architettura sonora di echi, registrazioni, melodie accennate che corrodono la compattezza dei ‘personaggi’ rendendoli permeabili gli uni agli altri.
Si rompe il silenzio che deriva dai traumi e dalla incapacità di guardare l’orrore. Da una sola storia se ne levano molte altre che rivelano a loro volta memorie e testimonianze che allargano lo sguardo nel tempo e nello spazio. Il teatro si rivela strumento di emozione e conoscenza. Riusciremo a non ripetere gli stessi errori?

Ariel Dorfman è nato in Argentina nel 1942. Trasferitosi in Cile, scampò all'arresto durante il regime di Pinochet e riuscì a fuggire rocambolescamente dal paese, come viene raccontato nel documentario A Promise to the Dead: the Exile Journey of Ariel Dorfman, premiato nel 2008 al Toronto Film Festival. Attualmente vive in Cile e negli Stati Uniti, dove insegna alla Duke University. La morte e la fanciulla è stata rappresentata in tutto il mondo dagli attori e dai registi più famosi. Roman Polanski, nel 1994, ne ha tratto l'omonimo film con Sigourney Weaver, Ben Kingsley e Stuart Wilson.