progetto Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci
con Elena Bucci (Mirandolina), Marco Sgrosso (Il Cavaliere di
Ripafratta), Daniela Alfonso (Dejanira), Maurizio Cardillo (Il Conte
d'Albafiorita), Gaetano Colella (Il Marchese di Forlipopoli), Nicoletta
Fabbri (Ortensia), Roberto Marinelli (Fabrizio)
produzione Centro Teatrale Bresciano / Compagnia Le belle bandiere
con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Comune di Brescia, Regione Lombardia, Provincia di Brescia - con il
sostegno di A2A e Fondazione ASM
e con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Teatro Comunale e Comune di Russi
nuova edizione 2015
disegno luci Maurizio Viani - datore luci Loredana Oddone - drammaturgia del suono Raffaele Bassetti - direttore di scena e macchinismo Giovanni Macis, Andrea Macis - costumi Marta Benini - parrucche Denia Donati - assistenti all'allestimento Nicoletta Fabbri, Filippo Pagotto, Federico Paino - ufficio stampa CTB Sabrina Oriani - segreteria artistica Nicoletta Fabbri - traduzioni e collaborazione all'organizzazione Federica Cremaschi - fotografie Tommaso Le Pera, Luigi Angelucci - distribuzione Emilio Vita
L'enorme fortuna di questo testo, studiato nelle scuole e messo in scena
da moltissime compagnie, rischia di rendere muti. Possiamo però
raccontare di quanto ci siamo divertiti a metterlo in scena, ritrovando
le radici della più lucida commedia all'italiana del '900, spiando,
attraverso un Goldoni che di certo ne è stato un avido testimone
oculare, i segreti dei comici dell'Arte, dei quali sappiamo poco o
nulla.
Abbiamo provato ad uscire dalla strada comoda della corretta
dizione italiana per avventurarci nelle consapevoli sporcature del
dialetto, che hanno immediatamente reso più concrete le battute e più
vive le situazioni. Di certo, quando scriveva Goldoni, l'italiano era
ancora più colorato di ora.
La scenografia è in gran parte evocata
dalle luci di Maurizio Viani, che trasformano un mutevole ma semplice
tavolo in una locanda, in una stireria, in una sala d'attesa del crollo
di un mondo e del suo modo di vivere, in un vento forte che distrugge e
ridimensiona i sogni di libertà e felicità di tutti i personaggi.
L'uso
delle ombre, invece, senza osare avvicinarsi ai maestri di quest'arte, è
per noi nostalgia, mistero, medianica vicinanza con un mondo lontano
del quale ci restano immagini, documenti, dipinti, opere, ma che non
possiamo più sentire nella sua complessità. Il suono accompagna lo
scorrere delle battute e le pause dei cambi scena come fosse anch'esso
scenografia, evocando ambienti opposti a quelli che vediamo,
amplificando le stanze e moltiplicando gli attori. Ci suggerisce lo
scricchiolio di una grande nave alla deriva, che forse è anche il nostro
mondo d'Occidente. Le ombre e i suoni denunciano la nostra temporale
distanza e la nostra umana vicinanza. Ancora oggi, un'energica rilettura
di questo testo ci fa comprendere la sua fortuna e la perplessità del
pubblico che lo vide in scena la prima volta.
Il suo meccanismo
perfetto, che muove a tratti la commozione pur facendola brillare tra le
risate, non dà alcuna soluzione, ma pone continue domande.
Perché
una donna non può realizzare il suo desiderio di autonomia fondandosi
sulla sua capacità lavorativa e sull'indipendenza dei sentimenti?
Sono
proprio tanto diverse le donne dagli uomini, sarà sempre guerra tra
loro? Quanto ancora durerà l'illusione di una felicità costruita sulla
ricchezza e sul benessere?
Cosa significa accogliere davvero i
viaggiatori del mondo? Svelare le illusioni d'amore ci rende più forti e
felici o ci consegna a un'inestinguibile nostalgia? E quanto ci
protegge dal dolore? Quanto osservare con spietata ironia i limiti
nostri e altrui ci aiuta a perdonare e ad accettare? Quanto abbiamo
perduto sacrificando una visione del mondo al femminile a favore di una
visione del mondo al maschile?
Con intelligenza, civetteria e
determinazione, Mirandolina intesse una sottile trama di gesti che
confortano grandi paure attraverso la soddisfazione di semplici bisogni
quotidiani, nell'illusione di poter ricreare un ordine del mondo a
partire dal luogo da lei animato e abitato. Il suo servire ha la dignità
e l'incedere di una regina senza titoli, tranne quello che le deriva
dalla coscienza della sua capacità imprenditoriale e dallo sguardo
attento e libero su quanto la circonda.
E l'ostinata, lucidissima,
quasi tenera misoginia del Cavaliere è destinata a sgretolarsi per
celebrare il trionfo di un'affascinante donna d'affari la cui grazia è
freddo mestiere e che non riesce a salvare il suo sogno di libertà dalle
necessità della reputazione e dell'interesse.
Si respira la
smisurata solitudine di personaggi in balìa delle proprie ossessioni,
non soltanto quella volontaria e misantropa del Cavaliere, ma anche
quelle del Marchese e del Conte, amici-nemici-rivali pronti a improvvisi
e fatui cambi di alleanze, o quella attonita di Fabrizio, la cui cieca
abnegazione alla padrona avrà per premio un matrimonio senza amore. Con
le comiche Dejanira e Ortensia poi – scivolate per ingenuità o disgrazia
a interpretare una femminilità schiava e interessata – irrompe
nell'intreccio l'ombra fascinosa del grande teatro guitto che Goldoni
volle combattere, il teatro delle maschere e dello strapotere degli
attori, delle finzioni esagerate e della miseria. Da una parte vediamo
il mondo sicuro del benessere, dall'altro quello rischioso
dell'avventura fuori dai canoni, ma entrambi stanno facendo lo stesso
viaggio, su una grande nave che scricchiola e sempre più sbanda, sia
essa la storia o la vita.
Nonostante la sua fama di 'riformatore' del
teatro, nonostante i suoi inviti a guardarci dalle lusinghe d'amore, il
signor Goldoni, volente o nolente, ci consegna un'opera dalla quale
traspaiono insieme tutte le umane complesse debolezze e la disperata e
anarchica vitalità del mondo della commedia dell'arte; e lo sguardo
dell'autore, che pare condannarle o giudicarle, invece le abbraccia
quasi silenzioso, con una lacrima di incanto che non vuole scendere né
asciugarsi.