LA CASA DEI ROSMER

Rosmersholm

da Henrik Ibsen
progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso

con Elena Bucci (Rebecca West), Marco Sgrosso (Johannes Rosmer)
e con Emanuele Carucci Viterbi (Il rettore Kroll), Francesco Pennacchia (Ulrik Brendel, Madama Helseth), Valerio Pietrovita (Peder Mortensgaard)

disegno luci Daria Grispino - drammaturgia sonora e cura del suono Raffaele Bassetti - collaborazione al progetto e aiuto regia Nicoletta Fabbri - scene Nomadea - costumi Marta Solari - realizzazione costumi e collaborazione Marta Benini, con l'aiuto di Manuela Monti

produzione Teatro Metastasio di Prato, Centro Teatrale Bresciano, Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale
in collaborazione con Compagnia Le belle bandiere, sostenuta da Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi - si ringrazia il Teatro Comunale di Russi

prima nazionale: dal 19 al 24 marzo 2024, Teatro Metastasio, Prato
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La casa dei Rosmer è immobile e carica di passato. Illustri antenati di inattaccabile moralità e valore spiano i vivi dai ritratti alle pareti. I bambini Rosmer non piangono e non ridono mai. Qui i morti a volte ritornano come cavalli bianchi al galoppo che evocano la tragica fine di Beate, prima moglie del pastore Johannes Rosmer, mite ed ultimo discendente al quale tutti guardano come ad un esempio di onestà e nobiltà. All’improvviso entra un’aria nuova che porta fiori, gioia, sogni, ma entra anche il feroce conflitto in atto tra i conservatori, che in nome della tradizione vogliono mantenere potere e privilegi, e i messaggeri di uno spirito di libertà che auspica l’emancipazione per tutti.
Cosa sceglierà Rosmer quando il rettore Kroll, grande amico divenuto nemico, gli chiederà di schierarsi contro il nuovo? Riuscirà Ulrik Brendel, un tempo carismatico maestro di Rosmer, a scrivere finalmente le sue opere più grandi? Chi è Peder Mortensgaard, prima bollato dalla società e ora in rapida ascesa grazie alla stampa? Tra quali fantasmi si muove Madama Helseth, spolverando i mobili centenari?
Che ruolo ha Rebecca West, misteriosa governante arrivata dal Nord, in questa tempesta?
La casa è un acquario o una voliera, dove i personaggi si muovono secondo civili abitudini e convenzioni che trasudano prepotenza, viltà, rivalsa. Immersi nell’atmosfera traslucida della casa, sono travolti da un vortice di eventi sospesi tra riso e tragedia, come è la vita. Soltanto quando credono di avere perso tutto si rivela il loro disperato desiderio di amore, libertà e innocenza. Possono finalmente, nella loro fragilità, comprendere ed essere compresi, amare ed essere amati. (EB)

A Rosmersholm “si rimane a lungo attaccati ai propri morti” o “sono i morti a restare attaccati a Rosmersholm”? La casa è il cuore dell’azione, l’esterno resta fuori, spiato da sguardi curiosi, morbosi, che scivolano anche attraverso le stanze.
La minaccia alla felicità si annida tanto in un passato cupo che schiaccia la promessa di nuove primavere, quanto in un futuro livido che annuncia cruente battaglie “a coltello”.
Gli spettri proiettano la loro ombra sul desiderio di luce dei vivi, creature contagiate e allucinate, prigioniere di un incubo popolato di rivelazioni inattese, segreti nascosti, confessioni strappate, mentre l’apparizione di un cavallo bianco annuncia fughe ed epifanie, sempre sull’orlo del precipizio, nella nostalgia dell’innocenza. (MS)

Rebekka: “… a che pensi?”   Rosmer: “All’innocenza...”   Rebekka: “Sì, l’innocenza…”

Da un presente nel quale vacillano molte conquiste civili, politiche, sociali che sembravano acquisite, dove si scontrano rinati totalitarismi e democrazie ferite, dove l’economia pare governare ogni atto umano soffocando diritti ed ideali, dove il pianeta manda inequivocabili segnali di sofferenza, ci rivolgiamo a questo testo del 1886. Come mai?
Torniamo ad un secolo nel quale troviamo le radici di molte contraddizioni che stiamo vivendo e il cui grande movimento di idee continua a nutrire il nostro immaginario.
Come fosse crollato il palazzo che ci ospitava, come dopo un terremoto, confusi e sperduti, andiamo in cerca di quello che siamo studiando quelli che eravamo.
Siamo in casa dei Rosmer, dimora di una famiglia che vanta una centenaria genealogia di uomini di valore - pastori, uomini di chiesa, politici, governanti - vissuti secondo i valori della tradizione e nella certezza di essere nel giusto. Con il suo parco, le vetrate, i grandi ritratti degli antenati, i ninnoli, i fiori, la casa emana autorevolezza e prestigio, è il simbolo di una vita agiata, operosa, rigorosa, austera, di indubbia moralità. Induce riverenza e curiosità: quali felici e fortunate esistenze si nasconderanno in quelle stanze? Eppure in Casa Rosmer non si ride mai.
Qui si consumeranno molti simbolici conflitti, innescati da una potente voglia di rinnovamento, annunciati da un clima da romanzo giallo fin dalle prime pagine: due donne osservano dalla finestra un uomo che si avvicina; evocano spiriti, apparizioni, superstizioni, un misterioso suicidio, quanto di più lontano da questa solida dimora si potrebbe immaginare.
Il discendente, Johannes Rosmer, vuole scuotersi di dosso religione e politica degli antenati e spingersi verso nuovi ideali: «... cercare e riunire tutti gli uomini di buona volontà, senza tener conto se hanno già una propria tendenza politica. Il mio compito, una volta che li avrò riuniti, sarà di convincerli ad agire nella concordia. Voglio impegnarmi per dare al nostro Paese, un’autentica coscienza di sé, perché soltanto grazie a quella potremo avere un autentico regime popolare...».
Questo intento, che anche ora potrebbe scardinare molti equilibri, scatena il conflitto con il suo antico mondo di appartenenza, che incolpa di questa inversione di percorso una donna misteriosa, Rebekka West, arrivata qui come governante e qui rimasta, anche dopo il suicidio della moglie di Rosmer, Beate, colei che non poteva sopportare i fiori che ora inondano la casa.
Ancora una volta Ibsen individua nella donna l’elemento intuitivo, magnetico, ineludibile, ingovernabile che scuote l’esistente e che può portare alla salvezza o alla rovina.
In questo clima di tensione e sospensione si moltiplicano i dubbi.
Quanto il passato ci sostiene e ci guida, quanto ci incatena? Quanto la casa protegge e quanto rinchiude? Come conciliare la tutela delle tradizioni del passato e l’innovazione, come equilibrare privilegiati e diseredati, come distribuire le ricchezze del pianeta? Come trovare la forza di essere consapevoli di sé? Quanto essere fedeli a chi non si ama più per rigore morale e quanto assecondare la verità dei sentimenti? Si possono difendere grandi idee sentendosi colpevoli? Esiste felicità senza innocenza? Ritroviamo uno scenario che si ripete nella storia: una politica intessuta di intrighi, prepotenze e menzogne perpetrate sia in nome della conservazione che del cambiamento, rapporti di convenienza travestiti da felicità e relazioni sotterranee che si nutrono di ambizione, speranze, crimini. In questa casa simbolo di continuità, i protagonisti cercano invece di strapparsi al passato, con il suo peso di obblighi, rispetto degli antenati, colpe, errori, per proiettarsi in un futuro dove possano sentirsi utili, servire la verità, la libertà, un possibile anche se equivoco progresso. Ma sono loro stessi i primi a tenere in vita i fantasmi che sbarrano loro la strada e li reclamano dal loro regno di morte. La casa, le cose, gli avi, i legami familiari, che in molte culture diventano un’illusione di permanenza anche oltre la morte, assumono qui una doppia valenza irrisolta: sono libertà e prigione. L’azione si svolge nel segno di questa ambiguità: i personaggi non hanno più età, sono vecchissimi e all’improvviso infantili e attoniti e li vediamo agire, pur partendo dal testo di Ibsen, in modo spesso opposto e contraddittorio.
Vivono in una casa piena di finestre: ma cosa vedono?
Nel momento in cui credono di avvicinarsi si allontanano, quando sperano disperano, quando amano distruggono, quando credono di essere nel giusto si scoprono erranti, quando sperano di librarsi verso nuove idee stanno soltanto fantasticando. Il loro agire è quello delle ombre, pallide emanazioni di antenati forti che hanno costruito un regno al quale si sentono estranei e dal quale vogliono evadere. L’unico atto di forza a loro possibile è la fuga: un colpo di scena che fa esplodere la tensione e risuona a lungo, un gesto che ognuno può leggere a suo modo.
Questa favola cupa, dove relazioni, personaggi e dialoghi solo in apparenza naturalistici scivolano nel fantastico e nel simbolico, lascia un imprevedibile spazio all’umorismo, quando si intravedono con tenerezza le paure e le mediocrità di ognuno dei personaggi, che tanto somigliano a quelle di noi tutti. Casa Rosmer è un palcoscenico, è il mondo. Affacciati alla grande finestra del sipario attori, personaggi, pubblico, spiano l’uno nell’altro il futuro. (EB)

Quindici anni dopo la nostra incursione nella villa apparentemente gelida ma in realtà rovente di Hedda Gabler, ci affacciamo – curiosi e affascinati – in un altro turbolento interno ibseniano, l’austera Casa Rosmer, dove il peso del passato sembra schiacciare senza spiragli il presente, se non fosse per quella vena ostinata di pulsioni mai sopite che aprono la via ad un futuro di mutamenti inesorabili. L’incanto sottile e l’ampio respiro drammaturgico di Ibsen non stanno soltanto nella maestria con cui riesce a tessere relazioni umane sul filo del rasoio e trame sospese tra una stasi apparente e una latente suspense, giocata tra porte socchiuse e rivelazioni sconvolgenti, ma anche nella sua capacità di analizzare meccanismi sociali, civili e politici che travalicano il tempo e illuminano le distorsioni del presente. Così anche in Rosmersholm, parallelamente al dramma sentimentale in cui si dibattono le anime tormentate di Johannes e Rebecca - uniti, divisi e poi inesorabilmente allacciati nella lotta tra coscienza morale, innocenza perduta e luminosa rinascita, si snoda il dissidio etico tra lealtà e opportunismo delle diverse parti politiche. E se il sacrificio “sublime” di Rosmer e Rebecca oggi può farci sorridere, pur nell’incanto della sua purezza simbolica, le subdole strategie di Kroll e di Mortensgaard nell’usare per i propri fini propagandistici un nome ‘che conta’, a distanza di un secolo e mezzo assomigliano molto a pratiche partitiche che ci riguardano ancora molto da vicino. Mentre, di contro, l’utopia di Ulrich Brendel verso una coerenza etica si sgretola miseramente nella sua inattuabilità.
Ciò che rende Ibsen così vicino alla nostra sensibilità non è soltanto la profonda introspezione dei suoi personaggi e la loro inesausta battaglia per affermare una più autentica identità, ma anche quel simbolismo astratto dei contrasti ricorrenti: luce e buio, carnalità e spiritualità, perdono e colpa, confessione e menzogna, gioia e dolore, passato e futuro, vita e morte…
In Casa Rosmer le ombre sono attraversate da bagliori improvvisi e gli austeri ritratti dei posteri sono costretti ad ascoltare confessioni inaudite, la calma piatta è inquinata da inquietudini feroci e gli interni silenziosi insidiati da sottili minacce esterne.
Con una forza ereditata dalla tragedia greca, i morti tornano a condizionare l’esistenza dei vivi, rendendola un continuo, snervante esame di coscienza. Gli spettri reclamano nuova vita e si attanagliano ai vivi «come se non volessero staccarsi del tutto da chi resta…».
E la morte, unico spiraglio verso la pacificazione dello spirito, ha l’aspetto elegante di due cavalli bianchi. (MS)

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