che sempre d'Amore mi lamento
melologo di Nevio Spadoni
interprete Chiara Muti
regia Elena Bucci
musiche Luigi Ceccarelli
violino Diego Conti
assistente alla regia del suono Angelo Benedetti
assistente alla regia Andrea de Luca
luci Fabio Rossi
produzione Ravenna Festival, Le belle bandiere
28-29 giugno, 1 luglio 2004 - Chiostri della Biblioteca Classense, Ravenna
Dopo il successo con cui è stato accolto dal pubblico del Festival il Galla Placidia di Nevio Spadoni, Elena Bucci e Luigi Ceccarelli, Ravenna Festival ha commissionato un nuovo lavoro che vedrà questo “trio” trasformarsi in quartetto, grazie all’apporto di Chiara Muti, che indosserà i panni di Francesca Da Rimini nel melologo omonimo che ha come sottotitolo: “Di me io so / che sempre d’Amore mi lamento”. Le vicende sono note: Francesca da Rimini, figlia di questa terra, viene data in sposa contro il suo volere a Gianciotto Malatesti detto ‘lo sciancato’. Lei però ama il cognato Paolo, e pagheranno entrambi con la vita questo amore illecito. Alle contrastanti, incerte notizie storiche, supplisce l’immaginario di Nevio Spadoni – che descrive non due innamorati condannati ad una pena eterna, ma due anime che vivono in una dimensione a-temporale, distanti l’una dall’altra, unite però da un sentimento più grande e più profondo. Il melologo vuol essere un canto d’amore, ma anche ribaltamento di antiche concezioni e credenze. E della scena dantesca, descritta con tanta pietà, non resta che la memoria poetica.
Questo
lavoro esiste soltanto in quanto frutto della collaborazione tra
scrittura, musica, regia in fase progettuale e di composizione,
arricchita in seguito dall’apporto dell’interprete.
I nostri
percorsi spesso solitari si sono incontrati in una reciproca
trasmissione di pensieri, suggestioni, intuizioni. L’apparente
complessità creata dalla commistione di diverse discipline, diventa per
noi un piacere di approfondimento e conoscenza. (Elena Bucci, Luigi Ceccarelli, Nevio Spadoni)
Francesca
da Polenta e Paolo Malatesti, cognati amanti, hanno avuto la sorte di
trovare il narratore della loro vicenda nel massimo poeta: Dante
Alighieri, e ancora una volta Ravenna è luogo privilegiato di un vissuto
di forti sentimenti. Ma per quanto attiene le cronache antiche, tutto è
avvolto in un groviglio di notizie contrastanti, riguardo soprattutto
il luogo del delitto.
Come ogni mito, travalica il tempo e scivola
sulla zattera delle miserie umane con passioni antiche ma sempre
attuali. Questo di Francesca vuole essere un canto-lamento d’amore e
allo stesso tempo il grido di una donna vittima di intrighi, strategie
che sottraggono linfa alla verità più profonda di lei, a quel bisogno
che ognuno ha di vivere l’amore in pienezza e libertà. Francesca è
costretta a subire una vocazione sbagliata e si ribella; la sua voce non
cessa di accusare personaggi e realtà del suo tempo con accenti duri e
recriminatori, ma al contempo, il filo con Paolo non si è spezzato. In
uno spazio lontano, e liberi da quella bufera infernal che mai
non resta, sono destinati ad incontrarsi e il loro amore, a discapito di
mediocri patteggi e calcoli umani, resiste, sia pure in una dimensione
altra.
Il nostro amore in terra / era come pietra focaia senza acciarino. / Qui / ora arde / trasforma / e non consuma.
Note di regia (Elena Bucci)
Francesca
si muove in un luogo senza tempo, nel quale il distacco dalla passione
degli umani diventa profonda comprensione del loro agire: qui, le parole
colpa, inferno, amore adultero, perdono la loro abituale e terrena
connotazione per diventare indicazioni di un percorso di salvezza, che
prende forma attraverso la ripetizione consapevole di un tragico
destino.
Francesca rivive la sua storia, tornando ad un corpo che
quasi non riconosce più, senza il beneficio del sangue e l’oblio della
morte, senza la concreta presenza dell’amante, per il quale ha perso la
vita, ma non la luce dell’anima. Attraverso il sentimento doloroso
dell’assenza dell’amato – che potrebbe sembrare una condizione di
permanenza all’inferno – ciò che si nomina colpa diventa spinta verso
una via luminosa.
Ho scelto di non fondare la forza tagliente,
determinata e sensuale di Francesca su effetti di luci e scenografie,
non vorrei approfittare della sua immagine famosa e celebrata, oscura
nei documenti e trascinante nella memoria collettiva. La sua figura di
giovane donna, ancora toccata dalle follie e dagli stupori
dell’adolescenza, invece, non ci sovrasta. Abita con levità questo
splendido chiostro sospeso e chiuso, se non per un varco verso il cielo.
La sua atmosfera raccolta invita in apparenza alla meditazione e al
distacco, ma come spesso accade quando ci si permette di guardare dentro
se stessi, ravviva i fantasmi del passato: gli alberi, i muri, il
quieto pozzo, diventano presenze mutevoli ed inquietanti, che
contrastano e accompagnano il cammino della coscienza.
A Chiara ho
chiesto di essere e non fare, sentire e non rappresentare, nella
tensione a diventare tutta, voce corpo pensieri, strumento trasparente
di Francesca.
La musica di Francesca da Rimini (Luigi Ceccarelli)
La musica di Francesca da Rimini è una composizione per voci e violino elettrico amplificati ed elaborati, in gran parte dal vivo, tramite computer. La voce di Chiara Muti è un riferimento timbrico e musicale che guida tutta l’opera, e attraverso l’elaborazione elettronica acquista una spazialità straniante così da proiettare Francesca in una dimensione senza tempo e in uno spazio indefinito. Francesca, da tanti secoli ormai, confida a Paolo la sua passione, in un solitario monologo intimo, lucido e allucinato allo stesso tempo. Come in un bassorilievo o in un dipinto, l’azione è congelata, si compie per sempre e Francesca rivive continuamente il suo amore per Paolo, tragico e meraviglioso.
L’altro strumento principale utilizzato, da cui vengono tratti praticamente tutti i suoni non vocali, è un violino elettrico a cinque corde, suonato dal vivo da Diego Conti: anch’esso è amplificato ed elaborato in tempo reale. La tessitura sonora dello strumento varia attraverso una grande quantità di timbri e dinamiche, dallo strusciato leggerissimo delle corde – reso percepibile da un’amplificazione intesa come lente di ingrandimento acustica –, fino alla densità di una intera orchestra – realizzata sovrapponendo infinite volte il suono a se stesso, con altezze diverse. Il virtuosismo del violinista, amplificato dall’elaborazione elettronica, genera gli ambienti sonori e le atmosfere in cui si muove l’azione e l’emozione di Francesca.
Il testo e la musica contengono inoltre vari interventi di personaggi dialoganti con Francesca, non presenti in scena ma facenti parti del suo immaginario, realizzati in parte con la voce elaborata di Chiara e in parte con la voce elaborata di Elena Bucci.