di e con Elena Bucci
musiche originali al pianoforte e alla fisarmonica eseguite dal vivo Christian Ravaglioli
luci Loredana Oddone - drammaturgia sonora e cura del suono Raffaele Bassetti - collaborazione al progetto Nicoletta Fabbri - scena Elena Bucci, Loredana Oddone - costumi Marta Benini - foto Luca Bolognese, Stefano Binci, Dorin Mihai - documentazione video Stefano Bisulli, Nicoletta Fabbri
produzione Le belle bandiere
in collaborazione con Armunia, Fondazione Teatro Rossini, Ravenna Festival
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Comune di Russi
adattamento n. 2: 28 giugno 2024, Anfiteatro Scabia, Castello Pasquini, Castiglioncello, Festival Inequilibrio/Armunia
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Sembro sola, ma sono circondata da una miriade di amabili fantasmi che chiedono di essere raccontati. Se non lo faccio io chi mai lo farà? Mi fermano l’auto, mi tirano per la giacca, si intromettono, pretendono: racconta di me, se non lo fai tu, chi mai lo farà? E se muori prima? Chi si ricorderà di me? So che non potrò mai raccontarli tutti, ma visto che ho cominciato, dovrò pure continuare. E infatti, gridano in coro. Mi fanno piangere e mi fanno ridere. Delle tragedie non si ride, ma nelle tragedie ridere si può.
Siamo in un palazzo abbandonato, in una vecchia casa di campagna, in una palude di Romagna tra acqua e cielo, in una grande città, dentro un sogno o un’anima, sopra un albero incantato o nel giardino dei poeti. Coloro che sono chiamati vecchi, invisibili e dimenticati, siedono ad un posto d’onore e quando parlano conviene ascoltare, perché ne sanno, di vita, eccome.
Possiamo incontrare una novantenne dall’anima di bambina, un cineamatore a cui sfugge la realtà, una formidabile donna cantastorie, un contadino che non vuole abbandonare la sua casa anche quando il fiume inonda la campagna riprendendo il corso originario. Un’inondazione può unire le generazioni, le terre, le regioni, una guerra può svegliare il coraggio, i fiori d’acacia diventano frittelle.
La musica trasforma il mio racconto in ballate. Tramandata di voce in voce una ninna nanna scongiura guerre e avidità contro le quali lotto aprendo le braccia per raccontare tutte le storie di tutti e non perderne le memorie. È un’impossibile impresa, un fallimento dichiarato che mette allegria. Non c’è nulla da perdere e una marea di cose da imparare.
NOTE SULLO SPETTACOLO E SUL PROGETTO
Ogni volta che un’onda del tempo trascina via quello che non serve, si rinnova la mia curiosità verso i volti, i luoghi, le vite. Non resisto alla tentazione di creare ritratti e trame osservando la realtà e trasformandola con l’immaginazione. Si tesse così un racconto sospeso tra storia, memoria e invenzione. Ritrovo in me una miriade di voci che non so da dove vengano e spesso torno dove sono nata per capirlo e inventare uno spettacolo nuovo che fa parte di uno stesso grande quadro.
La mia terra d’acqua, di nebbia, di palude, di mare è per me una porta magica, un grande libro che mi aiuta a trasformare le storie di un luogo in storia di tutti: ogni angolo del paesaggio è una pagina, ogni persona che passa una storia. Parlano le pietre, parlano le case, parlano le persone anche se stanno zitte, parla anche l’aria e mi racconta quello che non vedo più, quello che non farò in tempo a vedere. La realtà di ogni giorno diventa epica, leggenda.
Conoscendo e raccontando questo luogo mi pare di comprendere il mondo intero. Imparo a guardare e ad amare ogni luogo come se fosse la mia patria e casa mia. Cercando di riallacciare il filo con il passato, di ritrovare saperi e parole perdute, ho imparato ad amare ogni cultura.
Sono cresciuta in una casa di campagna incastrata dentro un paese che cambiava in fretta, ho imparato il dialetto da donne burbere e forti, da uomini che parlavano poco e con le mani grandi. Non mi hanno trasmesso tutto il loro patrimonio di gesti e parole, quasi se ne vergognavano. Si inchinavano ad una nuova libertà che metteva in ombra i loro saperi. Quella bambina bruna che correva nel cortile era destinata a studiare, parlare l’italiano, vivere come un maschio, diventare cittadina del mondo. Sono fuggita e sono tornata, attrice, autrice e regista, come sognavo. Mettendo il mio sapere alla prova mi sono accorta di quanto poco conoscevo la mia terra mater matrigna, che, gelosa del mio girovagare, mi ha afferrato per non lasciarmi più.
La mia terra mater matrigna mi ha ispirato spettacoli e scritti, mi ha spinto a creare gruppi, a fare teatro ovunque, a riaprire al pubblico luoghi abbandonati e dimenticati, da un seicentesco palazzo ad un teatro, da una chiesina ad un ex macello. Continua, da vicino e da lontano, a sussurrarmi all’orecchio la sua lingua antica che trasforma la mia voce e il mio corpo, apre e incatena la mia immaginazione, fa ridere e piangere, lingua sottile dei poveri e dei ricchi che sa nominare la distesa rosa dei peschi in fiore e il colore del mare quando cambia la stagione, sa fare lo sgambetto ai potenti e dice la verità, dice anche quando il mondo cambia in fretta e cambia male.
Rimango incantata ad osservare volti e vite, ad ascoltare racconti, memorie, ricordi. Ne creo una tessitura di storie sospese tra realtà e immaginazione dove risalta la tenacia di gente famosa e sconosciuta che fa della propria vita un dono, resistendo alla rassegnazione, all’egoismo, alla chiusura. Divento loro, uomo e donna, giovane, vecchia, bambino, do la mia voce a chi non ne ha avuta.
Come accade nei sogni, si saldano le fratture tra tempi e spazi diversi, fra vivi e morti e posso sorridere anche nella separazione, anche nella tragedia. Rivivo attraverso spettacoli diversi alcuni dei miei temi più cari: l’arte del teatro come strumento per comprendere e amare il mondo intorno a me, il desiderio di dare voce a chi non ne ha, lo sgomento per il conflitto feroce tra culture e religioni, il rispetto per la cultura e la memoria, l’amore per la multiforme bellezza del pianeta minata da un’economia e da una politica avide fino alla distruzione.
Ero immersa in questa ricerca quando è arrivata l’alluvione del maggio 2023. Parole, immagini, notizie, emozioni, sono entrate nella mia favola che pareva creata per accoglierle e hanno aperto la strada per includere altre storie di altre terre, tempi, paesi.
Di tanti luoghi e tante persone che non dimentico voglio fantasticare in questo lavoro in parte dedicato ad Ivano Marescotti, amico e grande artista che di questa terra, di questa lingua e della sua poesia è stato un meraviglioso cantore, migliorando con il passare del tempo come fa il vino buono.
Prime pagine dal grande libro Teatri in prova rassegna stampa