CANTI PER ELEFANTI

storie di follia in Romagna e no in concerto
drammaturgia, interpretazione e regia Elena Bucci

musiche originali Roberto Bartoli e Dimitri Sillato - al contrabbasso Roberto Bartoli - al pianoforte e violino Dimitri Sillato - luci Giovanni Belvisi - suono Roberto Passuti

produzione Le belle bandiere / la fabbrica della nebbia
debutto: 2002, Teatro San Leonardo, Bologna


In questo lavoro indago i confini, i limiti, le soglie, i passaggi che ci trasformano.
La cavalcata nel tempo e nelle identità maschili e femminili di Orlando di Virginia Woolf, che mi ha sempre affascinato, mi ha fatto immaginare la storia di Madame e dei suoi apparenti servitori, ma in realtà impietosi angeli, gli Otavi, che sono gli stessi impavidi musicisti – possibili riflessi del rapporto tra Norma Desmond e Max in 'Viale del tramonto' – chiusi da tempo indefinito in un luogo che potrebbe essere un teatro, una piccola stanza, un manicomio, un'illusione di protezione.
E proprio come in teatro, qui tutto è possibile... che Otavio ingoi gli antidepressivi al posto di Madame, che passi l'imprendibile oca selvatica, che si mescoli il parlato al canto, la lingua alta della poesia al dialetto, la musica alle parole. È possibile soprattutto per noi, creare uno spazio di riflessione o beffarda confessione, che diventa racconto... sia in parole e gesti che in musica.
Nel 1992 ho trascorso un lungo periodo dentro una casa protetta di un piccolo paese della Romagna. Lì ho osservato, filmato e documentato quello che succedeva. Attraverso i particolari e le mutazioni delle persone potevo riflettere su ciò che mi ossessionava: la follia, la devianza, la necessità di civilmente delimitarle in uno spazio definito e chiuso, e anche, per forza!... la morte e la paura che ci fa. Ne sono uscita un po' pesta e un po' cambiata.
Da lì ho cominciato a raccogliere i materiali per questo lavoro. Ho invocato la Merini e Campana, Pessoa e Artaud, prendendo poi il coraggio di scrivere io stessa ritratti e storie, pescati dalla mia esperienza e modificati dal tempo e dalla memoria.
Ho azzardato immaginare che nel luogo abitato da Madame, la tortura inflitta alla Zaira che cantava e cantava finché non le tagliarono i capelli 'per ragioni igieniche', non sia così lontana da quella subita dall'Artaud doloroso e incrollabile della conferenza al Vieux Colombier...
Ho cercato di 'patire insieme' a persone amate la follia, la costrizione, la tortura, l'ingabbiamento, l'incasellamento e allo stesso tempo la volontà di resistervi e di uscirne.
Da questo affastellarsi di materiali dolorosi, apparentemente rivolti ad una denuncia, è pian piano scaturita la possibilità di una nuova trasformazione, colta nell'immagine della tortura di Artaud che si scioglie in un canto e in un salto nel buio.
A proposito degli elefanti: a Venezia, vidi un filmato nel quale fanciulle sottili danzavano nell'acqua di un fiume, sotto gli occhi pazienti e nostalgici di grandi elefanti. Mi sono tanto piaciuti, così carichi di memoria, così preistorici, pesanti e agili, semplici e allegri. Guardavano danzare le fanciulle come i saggi guardano passare la vita, con distanza e dolcezza, con rispetto, tenerezza ed umorismo. Ho dimenticato le fanciulle, ma per questi elefanti, per noi un poco simili a questi elefanti, mi piacerebbe saper cantare.
Dedico questo lavoro a chi ha fatto del dolore poesia, agli angeli. (EB)

 
E la musica? piuttosto indefinibile, come la follia, è entrata in punta di piedi al cospetto degli elefanti forse un po' incuriosita, di certo affascinata dal potersi ritrovare, eccitata dalla possibilità di tornare ad essere semplicemente ciò che è: urlo, sussurro, suono, e null'altro.
Da tempo stiamo percorrendo una ricerca che parte dallo sviscerare le infinite possibilità della libera improvvisazione ed arriva ogni volta in luoghi e spazi diversi, fondendo il suono senza tempo degli archi con i concetti e le modalità dell'improvvisazione contemporanea. Le barriere che definiscono rigidamente gli stili vengono abbattute, e così pure i luoghi comuni: l'idea è una musica totale che tutto abbracci, senza limiti, fondendo tutti i linguaggi e tornando ad essere puro suono.
"... l'ebbrezza è, anche solo per pochi istanti, riavvicinarci al centro, tornare ad intravvedere la casa..."
Elena lo fa in modo magistrale, quando si cala nei personaggi e li "diventa", li rivive e si rivive: così l'obiettivo finale sarà far diventare musica la parola, e parola la musica. Ed inevitabilmente, noi musicaparola. (Roberto Bartoli, Dimitri Sillato)