da Sofocle
progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia di Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso
con Elena Bucci (Antigone), Marco Sgrosso (Creonte), Daniela Alfonso (Corifeo), Maurizio Cardillo (Tiresia/Corifeo), Nicoletta Fabbri (Ismene/Coreuta), Filippo Pagotto (Emone/Coreuta), Gabriele Paolocà (Guardia/Coreuta)
disegno luci Maurizio Viani - drammaturgia del suono Elena Bucci e Raffaele Bassetti - suono e sensori Raffaele Bassetti - direzione tecnica Giovanni Macis - luci Loredana Oddone - costumi Nomadea e Marta Benini
CTB Teatro Stabile di Brescia in collaborazione con Le belle bandiere con il sostegno del Comune di Russi e di Regione Emilia-Romagna
debutto: 10 gennaio 2012, Teatro Sociale, Brescia
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Sulla scia dell’esperienza del concerto a due sul mito di
Antigone e ispirati dalla sua rifrazione di punti di vista, siamo
arrivati a questo progetto, allargato agli attori della compagnia.
Il nucleo primario della grande tragedia di Sofocle oppone la
ragione del cuore di Antigone alla ragione di stato di Creonte,
figure potenti pur nella loro umana vulnerabilità. Attorno a questo
nucleo centrale, come in un caleidoscopio di nette rifrazioni, si
generano a catena tutti gli altri contrasti: l’opposizione delle
sorelle che apre la tragedia, Antigone votata alla morte e Ismene
custode di vita, quella politica e generazionale tra Creonte
padre-tiranno ed Emone figlio-ribelle, e quella etica e religiosa tra
Creonte, invasato fino alla cecità nella difesa di un’idea di
governo che dietro la pretesa di sanità nasconde la tirannia e il
profeta Tiresia, maestro di visioni limpide e terribili pur nelle
ombre dei suoi occhi senza vista.
Rileggere la tragedia è anche un tentativo di ritrovare le fonti
di un pensiero etico e politico che pare sbiadirsi di giorno in
giorno e di tornare a riflettere sul mito come strategia di
condivisione che unisce e crea una comunità. Una questione primaria
che ci siamo posti nell’affrontare il lavoro è stata la relazione
tra movimento e danza, suono cantato e parlato, maschera e volto. Gli
attori scivolano da un piano all'altro, da uno stile all'altro, in
un’idea di drammaturgia non soltanto ‘testuale’ ma anche
musicale e coreografica, per riscoprire nella storia di Antigone
tutta la freschezza dei molti linguaggi che abbiamo a disposizione e
la potenza di un pensiero caro e desueto: nessuno può togliere la
libertà di pronunciare il no.
In uno spazio severo ed impietoso verso le imprecisioni come il
rigido ideale di buon governo di Creonte, il Coro – testimone e
giudice - si muove come un corpo di ballo al ritmo di una tessitura
sonora che avvolge anche il pubblico. Siamo tutti presenti ora alla
veglia per la scelta estrema di Antigone, ombra inquieta in questo
spazio tagliato da lampi di luce, alla veglia per il corpo di
Polinice, riflesso insanguinato sui volti dei vivi, alla veglia per
una nostra antica identità smarrita.
Una fila di sedie e cinque piccoli scranni determinano di volta in
volta la divisione degli spazi e scandiscono il tempo dell’ascolto
e quello del canto, come in una sospensione da concerto l'aspettativa
da brivido degli strumenti che si accordano allude alla musica che
seguirà.
Nei tagli e nei riflessi della luce – che denunciano
l’impossibilità di fare brillare quella del Sole, più volte
evocata nelle parole e nelle preghiere – sentiamo quanto le rovine
di una città antica ci commuovano più della loro ricostruzione e
percorriamo un vuoto che possa offrire elementi per comporre le più
diverse visioni dell'antico dal quale veniamo e che più non
riconosciamo. Quando tutto è compiuto, risuonano come un balsamo le
parole di Sofocle che invocano la saggezza, porta della felicità a
tutti aperta.