Cavalieri erranti (lab)

laboratorio di alta formazione
condotto da Elena Bucci
organizzato da Piccola Compagnia della Magnolia

18-22 dicembre 2018
Atelier Magnolia c/o Bunker, Torino
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Ancora non mi abituo alla magia del teatro: ne esistono tanti quanti sono gli attori, i registi, ogni singolo essere che forma il pubblico; permette di viaggiare nel tempo, dialogare con i morti e con i vivi lontani; annulla il tempo, quando sospesi guardiamo il talento che si dispiega o quando, nel corso delle prove o in teatro, ci sembra passato un attimo e invece sono trascorse ore; rivela bellezze e orrori sorprendenti negli essere umani e nelle cose di ogni giorno; sposta lo sguardo, affina le antenne; nella sua forma più alta trasforma il narcisismo in dedizione a trovare il gesto, la parola, l'accento più autentico possibile; si rivela politico in ogni suo aspetto, mestiere da fool, rito collettivo che, anche quando non vorrebbe, trasforma l'inchino al potere in sberleffo e risata, strumento di un'alchimia che aiuta a vedere, a capire.
Ho descritto un'utopia, certo, valida per tutte le arti quando sono elisir in una società sana, medicine in una malata.
La nostra arte ha però alcune caratteristiche che possono renderla molto servile o molto libera: non rimane, si esprime e si consuma dal vivo, vive solo nel ricordo, è nomade e non stanziale, il suo strumento è il nostro stesso corpo, la nostra storia. Deve dialogare, con le sue anacronistiche necessità, con la concretezza del presente, le difficoltà contingenti, gli ordinamenti, le leggi, le economie. Si prepara in solitudine, ma si manifesta e si realizza in pubblico. In molte culture si è avvicinata ad un mistero politico e spirituale che dissolve le distanze tra gli individui, politiche, etniche, di età e censo, senza annullarne le differenze, scivolando, quasi inevitabilmente, verso una forma di verità comune.
Anche se spesso intuiamo questo compito rivoluzionario, riserviamo spesso poco tempo allo sviluppo e all'allenamento di quelle capacità che ci possono orientare in questa complessità, quelle che ci rendono veri autori, capaci di padroneggiare con libertà i nostri strumenti, coraggiosi nell'esprimere la nostra visione. Cavalieri erranti.
Sembra un assunto presuntuoso, ma mi rendo sempre più conto che il valore dell'esperienza consiste proprio nell'aiutare a intravedere, anche in breve tempo, la ricchezza che ognuno di noi ha vicino e che a volte non trova, per abitudine a guardare altrove, per sfiducia, o forse perché il nostro lavoro si pratica proprio attraverso la collaborazione con lo sguardo altrui.
In questi giorni insieme vorrei inseguire la migliore utopia che possiamo immaginare.
Ci chiederemo quali siano i veri luoghi dell'arte, quali i teatri del nostro tempo, quale sia il linguaggio che arrivi a tutti senza rinunciare alla bellezza della complessità, quali siano il corpo, la voce, la scrittura, il magnetismo di ognuno e come cambino nel corso del tempo e a contatto con tematiche diverse. Sono le eterne domande che rendono vivo il nostro lavoro e lo riportano alla sua natura di rito collettivo di consapevolezza e trasformazione, momento di pura gioia, uscita da sé, sipario di una diversa realtà che illumina la vita quotidiana e le relazioni.
Cosa significa essere attori? quanta deve essere la libertà creativa, quanta la dedizione a visioni altrui? Come ridefinire il proprio linguaggio con l'assommarsi delle esperienze? Come ritrovare le radici più autentiche, folli e libere della propria creatività? Come si mescola quello che abbiamo imparato con la nostra biografia e con il dna, ricchezze e fragilità che contrastiamo e alle quali attingiamo?
Come inseguire l'arte speciale di ognuno, quella che rende ogni persona unica e iridescente?
Che compito, che responsabilità, che salto nel vuoto viene chiesto all'acrobata delle emozioni che 'si agita per la sua ora sulla scena', che gioioso sacrificio?
Cosa serve davvero? di quanto peso possiamo liberarci per conquistare una maggiore libertà?
Mi pare che l'attore, con tutta la sua fragilità, l'egocentrismo, il narcisismo, le paure, le fissazioni, sia chiamato ad un grande compito, come fu al tempo della commedia dell'arte, del teatro di Shakespeare e di Molière, nella stagione dell'Ottocento italiano: leggere negli animi e nella storia, ricreare la realtà con libertà e coraggio, inventare e ritrovare lingue, storie e personaggi, suggerire l'utopia, svelare l'ipocrisia, dialogare con il potere.
Mi piacerebbe che si potesse scorrere su due binari paralleli e a tratti comunicanti: da un lato testi e personaggi che fanno parte della storia del teatro, attingendo sia a testi teatrali che a biografie o documenti, dall'altro storie e personaggi che attingano all'osservazione del mondo e all'autobiografia. Invito ognuno a preparare questi due racconti-ritratti, anche soltanto come schizzo o appunto, da perfezionare poi nel corso del lavoro
Saliamo sulla macchina del tempo del teatro per andare avanti e indietro nella storia, per dialogare con i geniali artisti che non ci sono più, che sono lontani, con tutti coloro che, pur non essendo famosi, ci hanno reso quello che siamo.
Cinque giorni possono svanire in un respiro, ma anche diventare un tempo infinito, un lusso, una gioia, una sorpresa, un abisso, una risalita. Immaginiamo di costruire uno spettacolo in cinque giornate nel quale ognuno dei partecipanti si avvicini ancora un poco al nocciolo autentico dell'insostituibile artista che è o può diventare.
Consiglio di portare abiti femminili e maschili comodi, ma non sportivi (gonne lunghe e ampie, abiti larghi, pantaloni comodi, cappelli, camicie) carta, penna e i testi di riferimento. Si può arrivare anche portando soltanto sé stessi.