matermatrigna

ovvero
inseguire il semplice rigore ribelle

21 ottobre 2017 - Teatro Verdi, Fiorenzuola d'Arda (PC) 


Ringrazio per l’onore che mi si fa, chiamandomi madrina di un susseguirsi di atti teatrali che non ho per niente contribuito a creare.
Suggerisco che potrei anche chiamarmi matermatrigna, visto che mi accingo ad adottare creature che non ho creato accogliendole con l’abbraccio più largo che posso avere, quello del teatro che si apre a tutte le culture, le razze, i censi, le provenienze, le fedi politiche e religiose in una sola emozione di buio, luce, dialogo tra i vivi e con i morti, respiro, forse catarsi.
Proprio pensando al fatto che negli ultimi tempi ho avuto la fortuna di vivere più di una volta quell’abbraccio misterioso, che, nella sua semplicità, chiede ad ognuno rigore e ribellione, riporto di seguito un testo che mi ha guidato nel mio ultimo laboratorio e ultima meraviglia, in una pieve isolata tra le colline a Gubbio.

La materia dei sogni del teatro è semplice
Semplice non vuole dire facile
complesso non significa difficile
difficile non sempre è prezioso
prezioso spesso ha un essenza semplice
e il semplice apre la porta a tutti
e più si imparano le tecniche e si assommano le esperienze
più sembra facile e difficile allo stesso tempo stare sulla scena
più si desidera abbandonare la competizione per l’emulazione
il premio per la gioia
più si ha voglia di saltare nel vuoto, provare, rischiare
cavalieri del rigore ribelle

Questo è il regalo del tempo: nonostante ogni scelta necessiti di sempre maggiore riflessione, nonostante si siano svelate le difficoltà in tutta la loro magnificente necessità e saggezza, ancora di più si cercano naturalezza e semplicità, sia che ci si occupi di scrittura, che di recitare, che di dirigere, che di guardare o di tutte quante le cose insieme.
Anche senza trucchi speciali, anche senza scene e senza costumi, anche nella semplicità di un paesaggio o di una stanza, quando il teatro si manifesta lascia stupefatti ed emozionati, rivelando ciò che ci rende simili e vicini.
In quest’epoca di inebrianti velocità e di moltiplicazione dei mezzi di informazione e comunicazione, il teatro più che mai si dimostra un’arte anacronistica e futura, il luogo di un patto dal vivo tra gli umani che non smette mai di offrire occasioni di conoscenza e mutamento. Ci insegna a pensare vie diverse da quelle che ci vengono quotidianamente offerte dal mondo delle compravendite, rende le utopie e le telepatie atti di semplice abbandono.
Perché di fronte ad un gesto, ad una voce, ad un suono restiamo incantati e come trasportati altrove, proiettati in un viaggio nel tempo insieme a tutti coloro con i quali diventiamo un pubblico? Per quale magia, trovandoci sulla scena, siamo noi e non più noi e riusciamo ad attingere ad un patrimonio di suggestioni e visioni che non sapevamo di avere?
Ritornando su queste parole, ricordando la bellezza dei volti delle persone quando si abbandonano e si trovano in se stesse e tra loro attraverso il teatro, praticando rigore nelle scelte e ribellione alle abitudini, coraggio nel salto ed estrema attenzione nell’ascolto, vinta dalla tenerezza e dalla meraviglia della tecnica che si trasforma in poesia, mi accorgo che non sarò mai una giurata, non farò classifiche, non tenterò di ordinare dall’alto al basso le mie molteplici emozioni di fronte al mistero teatro, ma tenterò invece di usare la mia esperienza e la mia passione per diventare specchio di quello che vedo, restituendo le emozioni e i pensieri che mi arriveranno dagli spettacoli. Così li chiamo perché, quando si sale sul palco un minuto può durare un anno e un’ora volare come un respiro: i corti sono vastissimi per le speranze, l’energia, la passione che ognuno vi infonde e nella loro ampiezza in apertura io cercherò di guardarli.