drammaturgia e regia Elena Bucci
Elena Bucci voce - Roberto Bartoli contrabbasso - Dimitri Sillato violino
musiche originali Roberto Bartoli, Dimitri Sillato - luci e suono Giovanni Belvisi
Le belle bandiere in collaborazione con I Teatri di
Reggio Emilia - rassegna Recitar Poetando
anno di produzione: 2003
Nel mondo delle ‘Mille e una
notte’, le parole potevano portare di fronte al boia e potevano
essere la salvezza, per chi fosse abile a tesserle ad arte. Questo è
quanto accadeva a Shahrazàd, l’autrice delle mille e una storia.
Il re stava per tagliarle la testa, ma lei, usando le parole, lo
fermò. E io volevo scoprire come.
‘Mamma, come si impara a raccontare
le storie che piacciono ai re?’ e mia madre, come se parlasse da
sola ‘Le donne non fanno altro, per tutta la vita.’
Al piano di sopra, quello delle donne
sole, divorziate, vedove, ripudiate, stava la zia Habiba, che ci
raccontava le storie. Quando la storia durava per ore, e la casa
piombava nel silenzio, pregavamo la zia Habiba di farci dormire con
lei. In quelle notti di grazia, ci addormentavamo ascoltando la sua
voce che ci apriva magiche porte, perchè lei sapeva come parlare
nella notte. Con la forza delle parole, ci conduceva su una grande
nave che veleggiava da Aden alle Malcive oppure ci portava su
un’isola dove gli uccelli parlavano. Viaggiavamo oltre Sind e Hind
lasciandoci dietro i paesi musulmani, vivendo nel pericolo,
incontrando cristiani ed ebrei, che dividevano con noi il loro cibo
bizzarro e ci guardavano recitare le nostre preghiere, come noi li
guardavamo recitare le loro. A volta andavamo così lontano che non
c’erano più dei: solo adoratori di sole e fuoco, anche loro amici,
se ce li presentava la zia Habiba.
I suoi racconti mi facevano venire
voglia di crescere. Volevo imparare a parlare nella notte. (Fatima Mernissi)
Quando ho cominciato a leggere questo
libro autobiografico di Fatima Mernissi, mi sono ancora una volta
stupita della mia ignoranza. Crediamo di sapere, ma quando ci
immergiamo in un racconto fatto di particolari, di visioni, di odori,
facce, sentimenti, misuriamo la povertà e i pericoli dei normali
sistemi di informazione e comunicazione. Il racconto diventa
strumento di comprensione reale e quindi di trasformazione.
Attraverso i ritratti di donna che la
Mernissi traccia con capacità di adulta, ma con una viva memoria
della sua sensibilità da bambina, ho potuto avere l’illusione di
vivere un poco nell’harem e allo stesso tempo non ho potuto evitare
di ripensare alla mia infanzia, alle ‘mie’ donne, alle parole e
alle persone che hanno in parte determinato quello che sono ora.
Insieme alle differenze ovvie ed
evidenti, piano piano ho visto emergere le affinità, espresse nella
medesima curiosità nei confronti della crescita, del rapporto con
l’altro sesso, della definizione del proprio ruolo nel mondo, nel
difficile equilibrio tra il mantenimento della tradizione e la
necessità di rompere i ‘sacri confini’.
Mi immedesimavo nello stupore di Fatima
bambina verso le cose, nella sua rabbia di fronte all’ingiustizia,
nella commozione di fronte alle storie raccontate dalla zia Habiba e
da Mani, la senza terra, la sradicata che, rapita e gettata in fondo
ad un pozzo, ha scoperto, nella forza dello sguardo fisso sui
carnefici, l’irriducibilità del silenzio coraggioso. I tratti dei
volti immaginati si sono mescolati a quelli della mia nonna, della
Giuseppa che mi raccontava le favole, di nonna Russi e del suo
mistero di bellissima zitella, e di mille e uno altri racconti che
hanno stregato la mia infanzia. Ho immaginato un grande harem
marocchino e romagnolo. Divido con Fatima la fascinazione e la rabbia
per il mistero delle parole, strumenti di vita e di morte, libertà e
prigionia.
Nel racconto delle storie di Fatima, mi
lascio accompagnare da due musicisti che sono anche nemici e
compagni, insieme e contro di me. Nella tensione tra musica e parole
nasce quel contrasto che mi piace pensare molto antico, che immagino
fosse delle storie non ancora scritte, ma tramandate di voce in voce.
Insieme ad atmosfere che abbiamo deciso
insieme, corrono spazi di improvvisazione e di reciproca sorpresa.
Il luogo è semplice. Un leggìo al
centro chiude le molte storie di Fatima, ma è anche il libro delle
‘Mille e una notte’, e il fulcro della grande memoria di tutti.
Da lì si cerca di fuggire e si torna. I musicisti si muovono con
libertà, chiudendomi il movimento e aiutandolo.
Le pietre, mille volte usate e mille
volte ancora utili, delimitano i confini dell’harem e dell’azione,
ma si vedrà poi che fine faranno... come strumenti utili al canto.