alla fisarmonica Gabriele Zanchini
Le belle bandiere in collaborazione con Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna e con il sostegno di Comune di Russi
debutto: 31 luglio 2012, Cortile Palazzo Monsignani, Imola (BO)
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una solitudine di mare,
una di morte, ma
faranno lega tutte quante
a paragone con quell’estremo punto,
quella polare ritrosia
di un’anima ammessa a se medesima.
Infinita infinità.
(Emily Dickinson)
Quando potremo smettere di pensare alle donne come una categoria
da proteggere sarà un momento di grande felicità: vorrà dire che
visioni, linguaggi, modi di intendere la vita saranno finalmente in
dialogo verso una costruzione del futuro più armonica rispetto a
quella presente che sta rivelando la sua violenta fragilità.
Io credo di essere stata fortunata, sono nata in una parte del mondo agiata, in una famiglia normale, ho potuto studiare, viaggiare, scegliere il mio lavoro.
Nonostante questo, ricordo molto bene mia madre, mia nonna, mia zia che, pur essendo donne intelligenti e forti, mi dicevano: come, ci vai da sola? come, non ti accompagna nessuno? ma come, vuoi andare via da qui? e quando torni? ricordati che dal bene al male è un attimo! sii brava, sii buona, sii docile...
Cercavano di proteggermi come potevano, senza accorgersi che mi stavano insegnando, insieme all’arte di interpretare i desideri altrui, anche quella capacità sottile di adattamento che, pur essendo uno strumento formidabile dell’intelligenza e del cuore, spesso ha reso le donne schiave anche quando l’apparenza era del tutto diversa.
Appena me ne sono resa conto, oltre a prendermi il lusso di essere ribelle, ho cercato nelle opere delle scrittrici altri modelli, che mi hanno aiutato a moltiplicare i punti di vista e a scegliere una via imprevista, quella del teatro, per fare dialogare passato e presente, vivi e morti, mondo immaginario e mondo reale, vite vere e vite inventate e anche per riscrivere e reinterpretare la storia di chi mi ha messo al mondo e ‘tirato su’.
La mia passione per le biografie altrui, per l’osservazione di vite reali, famose e sconosciute, è stata una vera guida per la mia strada di attrice e autrice. Vi ho trovato materiali drammaturgici entusiasmanti, eventi e riflessioni che mi hanno aiutato ad avere coraggio, determinazione e compagnia nei momenti difficili.
Nel caso di grandi artiste, lo studio della vita si è unito a quello dell’opera: così Virginia Woolf mi ha insegnato a cercare ‘una stanza tutta per me’, Eleonora Duse a non avere paura di percorrere strade inedite nella scrittura del teatro, Isabella Andreini, genio della commedia dell’arte, a comprendere il valore del tempo e dell’energia, Juana de la Cruz, vittima dell’Inquisizione, a non sottovalutare la paura della solitudine e la capacità inibitoria dell’isolamento. Allo stesso tempo Emily Dickinson mi ha dimostrato come si possa passare quasi tutta una vita in una stanza bianca, distillando parole d’oro che raggiungeranno il futuro nonostante i giudizi miopi degli uomini della sua vita. Alda Merini, in altro modo, ha trasformato il dolore in pagine memorabili che mi hanno insegnato a raccontare le peripezie di donne meno famose, come la Zaira di Finale Emilia, incontrata in un periodo di studio in una casa protetta, quando cercavo di comprendere quanto fosse importante non solo la cura materiale, ma anche quella spirituale delle persone in difficoltà.
La sua resistenza a cantare e a gioire è stata vinta soltanto dall’umiliazione fisica di un taglio di capelli per ragioni igieniche, capelli che erano stati la sua corona e il suo vanto.
Non passa in queste parole nemmeno l’emozione che provo quando vedo, seduta con un sorriso sulla soglia di casa, la Giuseppa, che a novant’anni ha la forza di grande albero e la stessa bellezza. O il racconto della Catuba, che aveva fatto la settimana rossa del 1907 e che fumava la pipa davanti a casa.
Quante figure, che ho creato nel corso del mio lavoro, partecipano di tante esistenze che ho osservato con partecipazione, appuntato su un quaderno o nella memoria: così il personaggio di Ofelia, aspirante naufraga per amore di un bagnino violento, o Monica, casalinga impazzita di psicofarmaci nel tentativo di comprendere come mai le grandi battaglie culturali si siano per lei tradotte in un grigio destino di dorata sottomissione alla carriera del marito.
Ho anche con grande divertimento spiato le tecniche di resistenza e opposizione che, attraverso canto e risate hanno permesso alle donne di creare gioia anche di fronte alle più clamorose ingiustizie.
Il teatro, attraverso l’improvvisazione, la scrittura e la composizione in musica delle emozioni e delle visioni che ho raccolto, mi permette di raccontare nel modo che mi è più congeniale alcuni di questi ritratti femminili, immaginando di dare voce a un coro del quale divento medium, fatto di molti linguaggi e idiomi, dal canto al dialetto, dalla poesia al racconto e intessuto di voci di donne di epoche diverse, di diverse culture, di diverse fortune, ma tutte unite da una ricerca di autenticità e di pienezza che le ha rese ai miei occhi eroiche.
Il mio scopo non è quello di denunciare violenze o trovare colpevoli. Spero che narrare le vicende di chi cerca libertà e armonia evidenzi da sé la stupidità e l’ignoranza di chi tenta di nasconderle o annientarle ai fini di acquisire potere e dominio.
Vorrei soltanto illuminare ancora un poco azioni e opere preziose che arrivano da una parte dell’umanità che ancora non ha espresso pienamente la sua voce e che ora è pronta a farlo, nonostante le difficoltà, le trappole, i travisamenti, le manipolazioni, anzi forse proprio per il grande salto che si sta preparando per trasformare il silenzio in azioni aperte e franche. Non lo faccio perché io sono una donna, ma perché, in quanto donna, credo di poter raccontare in modo originale qualche piccola storia che ho vissuto e perché, come persona, ho una vera passione per scoprire voci inespresse e rivelare i meccanismi schiaccianti del potere, dai quali ogni essere umano può essere travolto, sia come vittima che come carnefice.
Perché Concerto per donna sola? Perché quando una donna potrà andarsene in giro sola, senza che questo sia un rischio, un problema o una mancanza, allora sarà davvero cittadina del mondo, libera tra gente libera. E così per ogni essere umano, ‘infinita infinità di anima a sé medesima ammessa’.
Io credo di essere stata fortunata, sono nata in una parte del mondo agiata, in una famiglia normale, ho potuto studiare, viaggiare, scegliere il mio lavoro.
Nonostante questo, ricordo molto bene mia madre, mia nonna, mia zia che, pur essendo donne intelligenti e forti, mi dicevano: come, ci vai da sola? come, non ti accompagna nessuno? ma come, vuoi andare via da qui? e quando torni? ricordati che dal bene al male è un attimo! sii brava, sii buona, sii docile...
Cercavano di proteggermi come potevano, senza accorgersi che mi stavano insegnando, insieme all’arte di interpretare i desideri altrui, anche quella capacità sottile di adattamento che, pur essendo uno strumento formidabile dell’intelligenza e del cuore, spesso ha reso le donne schiave anche quando l’apparenza era del tutto diversa.
Appena me ne sono resa conto, oltre a prendermi il lusso di essere ribelle, ho cercato nelle opere delle scrittrici altri modelli, che mi hanno aiutato a moltiplicare i punti di vista e a scegliere una via imprevista, quella del teatro, per fare dialogare passato e presente, vivi e morti, mondo immaginario e mondo reale, vite vere e vite inventate e anche per riscrivere e reinterpretare la storia di chi mi ha messo al mondo e ‘tirato su’.
La mia passione per le biografie altrui, per l’osservazione di vite reali, famose e sconosciute, è stata una vera guida per la mia strada di attrice e autrice. Vi ho trovato materiali drammaturgici entusiasmanti, eventi e riflessioni che mi hanno aiutato ad avere coraggio, determinazione e compagnia nei momenti difficili.
Nel caso di grandi artiste, lo studio della vita si è unito a quello dell’opera: così Virginia Woolf mi ha insegnato a cercare ‘una stanza tutta per me’, Eleonora Duse a non avere paura di percorrere strade inedite nella scrittura del teatro, Isabella Andreini, genio della commedia dell’arte, a comprendere il valore del tempo e dell’energia, Juana de la Cruz, vittima dell’Inquisizione, a non sottovalutare la paura della solitudine e la capacità inibitoria dell’isolamento. Allo stesso tempo Emily Dickinson mi ha dimostrato come si possa passare quasi tutta una vita in una stanza bianca, distillando parole d’oro che raggiungeranno il futuro nonostante i giudizi miopi degli uomini della sua vita. Alda Merini, in altro modo, ha trasformato il dolore in pagine memorabili che mi hanno insegnato a raccontare le peripezie di donne meno famose, come la Zaira di Finale Emilia, incontrata in un periodo di studio in una casa protetta, quando cercavo di comprendere quanto fosse importante non solo la cura materiale, ma anche quella spirituale delle persone in difficoltà.
La sua resistenza a cantare e a gioire è stata vinta soltanto dall’umiliazione fisica di un taglio di capelli per ragioni igieniche, capelli che erano stati la sua corona e il suo vanto.
Non passa in queste parole nemmeno l’emozione che provo quando vedo, seduta con un sorriso sulla soglia di casa, la Giuseppa, che a novant’anni ha la forza di grande albero e la stessa bellezza. O il racconto della Catuba, che aveva fatto la settimana rossa del 1907 e che fumava la pipa davanti a casa.
Quante figure, che ho creato nel corso del mio lavoro, partecipano di tante esistenze che ho osservato con partecipazione, appuntato su un quaderno o nella memoria: così il personaggio di Ofelia, aspirante naufraga per amore di un bagnino violento, o Monica, casalinga impazzita di psicofarmaci nel tentativo di comprendere come mai le grandi battaglie culturali si siano per lei tradotte in un grigio destino di dorata sottomissione alla carriera del marito.
Ho anche con grande divertimento spiato le tecniche di resistenza e opposizione che, attraverso canto e risate hanno permesso alle donne di creare gioia anche di fronte alle più clamorose ingiustizie.
Il teatro, attraverso l’improvvisazione, la scrittura e la composizione in musica delle emozioni e delle visioni che ho raccolto, mi permette di raccontare nel modo che mi è più congeniale alcuni di questi ritratti femminili, immaginando di dare voce a un coro del quale divento medium, fatto di molti linguaggi e idiomi, dal canto al dialetto, dalla poesia al racconto e intessuto di voci di donne di epoche diverse, di diverse culture, di diverse fortune, ma tutte unite da una ricerca di autenticità e di pienezza che le ha rese ai miei occhi eroiche.
Il mio scopo non è quello di denunciare violenze o trovare colpevoli. Spero che narrare le vicende di chi cerca libertà e armonia evidenzi da sé la stupidità e l’ignoranza di chi tenta di nasconderle o annientarle ai fini di acquisire potere e dominio.
Vorrei soltanto illuminare ancora un poco azioni e opere preziose che arrivano da una parte dell’umanità che ancora non ha espresso pienamente la sua voce e che ora è pronta a farlo, nonostante le difficoltà, le trappole, i travisamenti, le manipolazioni, anzi forse proprio per il grande salto che si sta preparando per trasformare il silenzio in azioni aperte e franche. Non lo faccio perché io sono una donna, ma perché, in quanto donna, credo di poter raccontare in modo originale qualche piccola storia che ho vissuto e perché, come persona, ho una vera passione per scoprire voci inespresse e rivelare i meccanismi schiaccianti del potere, dai quali ogni essere umano può essere travolto, sia come vittima che come carnefice.
Perché Concerto per donna sola? Perché quando una donna potrà andarsene in giro sola, senza che questo sia un rischio, un problema o una mancanza, allora sarà davvero cittadina del mondo, libera tra gente libera. E così per ogni essere umano, ‘infinita infinità di anima a sé medesima ammessa’.
Elena canta e danza sulle parole, quasi a voler sdrammatizzare quella solitudine vissuta da un coro di donne, che nella voce e nei gesti di questa incredibile attrice, diventano un unico personaggio: suggestioni suggerite dalle lettere di Eleonora Duse, dai concetti di Colette, la vagabonda (Una donna che si crede intelligente reclama gli stessi diritti dell’uomo, una donna intelligente ci rinuncia…) dagli scritti di Anna Maria Ortese per la quale scrivere è “essere reali”, o dai piccoli frammenti tratti dai monologhi di Nino Pedretti, innamorato del dialetto romagnolo e da Emily Dickinson, per la quale la solitudine è un veicolo per la felicità. C’è anche Raffaello Baldini che racconta della maestra che accendeva la sigaretta senza fumarla, per ricordare l’amato. Donne da cui trapela il disagio di un abbandono, di un rifiuto della società, che nella quotidianità dicono: “a so’ da per me”, altre che anche se troppo amate, hanno paura di non essere all’altezza dei desideri altrui. Poi la solitudine di Alda Merini, una donna che non fu mai amata, evocata dalla dolce melodia uscita dalle abili mani di Gabriele Zanchini alla fisarmonica. Altre brevi suggestioni suggerite dal romanzo autobiografico “Una Donna” di Sibilla Aleramo e infine immancabili frammenti dalle opere di due grandi scrittrici: Virginia Woolf e Juana de la Cruz vissuta nel ’600 - entrambe donne dallo spirito libero. (Gigliola Berardi)
La costruzione musicale di Gabriele Zanchini con le variazioni su musiche di sua composizione e arrangiamenti da canti della tradizione portoghese, come la “Casa Portoghese” o la “Canzone del mar”, ha enfatizzato il pathos evocato dalla lettura: dotato di una tecnica straordinaria e di capacità interpretative originali, l’artista sembra giocare con le tastiere della fisarmonica, ma dietro ci sono anni di studio, preparazione, impegno, passione, con un’attenzione particolare per tutta la musica popolare colta, esplorando tutto ciò che viene considerato musica improvvisata.
Nella "solitudine" propostaci dalla Bucci non si avverte disperazione, ma una dolce struggente malinconia. Interrotta, a volte, quasi da gioiosa nostalgia. Come ci suggerisse, in piena consapevolezza, l'accettazione della vita. La figura dell'Attrice viene armoniosamente impreziosita dalla musica che l'accompagna, ne esalta la mimica e la fa risplendere ancora di più. (Bianca Rosa Panterna)